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Lepanto 1571


La battaglia di Lepanto è lo storico scontro avvenuto il 7 ottobre 1571 tra le flotte musulmane dell'Impero ottomano e quelle cristiane della Lega Santa che riuniva le forze navali di Venezia, della Spagna (con Napoli e Sicilia), di Roma, di Genova, dei Cavalieri di Malta e del Ducato di Savoia, federate sotto le insegne pontificie.

Prologo

La coalizione cristiana era stata promossa da papa Pio V per soccorrere la veneziana città di Famagosta (o Famagusta; in greco Ammocosthos; in turco Gazimağusa), sull'isola di Cipro, assediata dai Turchi e strenuamente difesa dalla guarnigione locale. Il vessillo, benedetto dal Papa, giunse a Napoli il 14 agosto 1571, dove venne consegnato solennemente a Don Giovanni d'Austria, nella basilica di Santa Chiara.
La flotta della lega raggiunse poi la Sicilia, lasciando Messina, dopo aver riunito 50 navi veneziane tra galee, navi da carico, imbarcazioni minori e 6 potenti galeazze, 79 galee della Spagna (con 29 provenienti dal Regno di Napoli e 7 dal Regno di Sicilia più le 3 di Malta, con le proprie corone appartenenti all'impero spagnolo), con l'aiuto di 3 galee del Ducato di Savoia, 12 galee toscane noleggiate dal Papa, 28 galee genovesi e le flotta maltese degli Ospitalieri.
Giungendo in cerca di riparo dalla nebbia e dal forte vento nel porto di Viscando, non lontano dal luogo della battaglia di Azio, la flotta cristiana fu raggiunta dalla notizia della caduta di Famagosta e dell'orribile fine inflitta dai musulmani a Marcantonio Bragadin, il senatore veneziano comandante la fortezza. Il 1º agosto i veneziani si erano arresi, con l'assicurazione di poter lasciare indenni l'isola di Cipro. Ma Lala Kara Mustafa Pascià, il comandante turco che aveva perso più di 52.000 uomini nell'assedio (e, tra questi, suo figlio), non aveva mantenuto la parola e i veneziani erano stati imprigionati e incatenati ai banchi delle galee turche. I soldati turchi avevano dichiarato a Mustafa Pascià che alcune decine di loro, presi prigionieri dai veneziani, erano stati trucidati, la notizia, pur non essendo mai stata confermata, è plausibile, poiché nella fortezza vi erano numerosi mercenari molto poco disciplinati. Mustafà Pascia prese questo fatto come pretesto per giustiziare i prigionieri. Venerdì 17 agosto Bragadin era stato scorticato vivo di fronte ad una folla di musulmani esultanti e la sua pelle, conciata e riempita di paglia, era stata innalzata come un manichino sulla galea di Mustafà Lala Pascià insieme alle teste di Astorre Baglioni, Alvise Martinengo e Gianantonio Querini. I macabri trofei erano poi stati inviati a Costantinopoli, esposti nelle strade della capitale ottomana ed infine portati nella prigione degli schiavi.
Nonostante il maltempo le navi della Lega presero il mare verso Cefalonia, sostandovi brevemente, e giungendo, il 6 ottobre davanti al golfo di Patrasso, nella speranza di intercettare la potente flotta che i cristiani sapevano essergli stata opposta dagli Ottomani. Si noti che tutte le principali nazioni d'Italia e la più grande potenza europea dell'epoca (la Spagna) dovevano coalizzarsi per poter sperare di battere l'impero Ottomano, sintomo questo della potenza, spesso sottovalutata a livello storiografico, della sublime porta.
Il 7 ottobre 1571, che era di Domenica, Don Giovanni d'Austria fece schierare le proprie navi in formazione serrata, deciso a dar battaglia: non più di 150 metri separavano le galee.

La battaglia

Don Giovanni decide di lasciare isolate in avanti, come esca, le 6 potentissime galeazze veneziane, due davanti ad ogni "corno". Le galeazze davanti allo schieramento veneziano erano al comando degli ammiragli Antonio e Ambrogio Bragadin, camuffate da navi da carico.
All'avvicinarsi degli ignari Turchi, queste scaricano cannonate con una potenza di fuoco mai vista prima sul mare fino a quel giorno. Le linee ottomane subiscono molte perdite ma Alì Pascià in preda a furore bellico decide di superare di slancio le galeazze. Ma queste navi erano inabbordabili, vista la loro notevole altezza: di conseguenza Don Giovanni aveva deciso, dietro consiglio del Doria, di togliere un gran numero di spadaccini dalle galeazze e sostituirli con archibugieri, i quali crearono gravi danni alla flotta turca. Pertanto Alì, senza impegnarsi in battaglia con queste grosse navi, dopo averle superate, decide di scagliare tutta la sua flotta in uno scontro frontale, mirando unicamente all'abbordaggio della nave di Don Giovanni per provare ad ucciderlo subito demoralizzando così la flotta della Lega Cristiana, ed essendo in superiorità numerica (167-235) tenta di circondarla, utilizzando la tattica navale classica.
Nell'ambito dei comandanti turchi non poche voci si erano espresse in senso contrario, il temperamento ed il carisma del Sultano Alì Pascià spinge i Turchi, in favore di vento, a scatenare la battaglia.
Per i cristiani gli scontri all'inizio coinvolgono pesantemente il veneziano Barbarigo, che è alla guida dell'ala sinistra e posizionato sotto costa; deve parare il colpo del comandante Scirocco, impedire che il nemico possa insinuarsi tra le sue navi e la spiaggia per accerchiare la flotta cristiana. La manovra ha solo un parziale successo e lo scontro si accende subito violento. La stessa galea di Barbarigo diventa teatro di un'epica battaglia nella battaglia con almeno due capovolgimenti di fronte. Ferito gravemente alla testa, Barbarigo muore e le retrovie devono correre in soccorso dei veneziani per scongiurare la disfatta: ma grazie all'arrivo della riserva guidata dal Marchese di Santa Cruz le sorti si riequilibrano e così Scirocco viene catturato, ucciso e immediatamente decapitato.
Al centro degli schieramenti Alì Pascià cerca e trova la galea di Don Giovanni d'Austria, la cui cattura risolverebbe definitivamente lo scontro. Contemporaneamente altre galee impegnano Venier e Marcantonio Colonna. Molti sono gli episodi di eroismo: l'equipaggio della galera Fiorenza dell'Ordine di Santo Stefano viene quasi interamente ucciso, eccetto il suo comandante Tommaso de' Medici con quindici uomini.
Sulla galea di Don Giovanni invece si ripete lo scontro a cui ha partecipato Barbarigo, e la battaglia frontale si fa cruenta. Con un rumore assordante i Turchi iniziano l'assalto alle navi di Don Giovanni suonando timpani, tamburi, flauti. Il vento è a loro favore. La flotta di Don Giovanni è nel più assoluto silenzio.
Quando i legni giungono a tiro di cannone i cristiani ammainano tutte le loro bandiere e Don Giovanni innalza lo Stendardo di Lepanto con l'immagine del Redentore Crocifisso. Una croce viene levata su ogni galea e i combattenti ricevono l'assoluzione secondo l'indulgenza concessa da Pio V per la crociata. Improvvisamente il vento cambia direzione: le vele dei Turchi si afflosciano e quelle dei cristiani si gonfiano. Don Giovanni d'Austria perciò punta fulmineamente diritto contro la Sultana. Il reggimento di Sardegna dà per primo l'arrembaggio alla nave turca, che diviene il campo di battaglia: i musulmani a poppa e i cristiani a prua.
Al terzo assalto i sardi arrivano a poppa. Don Giovanni viene ferito ad una gamba. Più volte le navi avanzano e si ritirano, Venier e Colonna devono disimpegnarsi per accorrere in aiuto a Don Giovanni che sembra avere la peggio assieme all'onnipresente Marchese di Santa Cruz.
Alla sinistra turca, al largo, la situazione è meno cruenta ma un po' più complicata. Giovanni Andrea Doria dispone di poco più di 50 galee, quasi quante quelle del veneziano Barbarigo (circa 60) sul corno opposto ma davanti a sé trova 90 galee, cioè circa il doppio dei nemici fronteggiati dai veneziani ed oltretutto in un'area molto più ampia di mare aperto; per questo pensa ad una soluzione diversa dallo, scontato negli esiti, scontro diretto. Giovanni Andrea Doria infatti, a un certo momento della battaglia, si sgancia con le sue navi genovesi facendo vela verso il mare aperto.
Il ruolo cruciale di Gianandrea Doria è sempre stato oggetto di disputa da parte dei Veneziani: gli antagonisti dei Genovesi insinuarono che egli si fosse defilato o per preservare il proprio naviglio o perché obbediva ancora agli ordini di Filippo II o che si era messo d'accordo con Uluc Alì per la reciproca considerazione (anche il comandante barbaresco come il genovese affittava le galee al suo Signore), mentre gli storici genovesi e spagnoli lo difendono definendole di una grande rarità strategica: in realtà nonostante avesse avuto l'ordine, ugualmente al Barbarigo, di difendere e proteggere il fianco della flotta di Don Giovanni per impedire l'accerchiamento delle sue navi che si trovavano sotto un violento attacco frontale, inaspettatamente spaccò il lato destro dello schieramento cristiano, puntando verso il mare aperto e lasciando aperto un buco che una flottiglia di 16 galee cristiane non genovesi (staccatesi dalla flotta principale) vedendo e pensando che il Doria si accingesse ad un vero e proprio sganciamento, si diressero verso il fianco di Uluc Alì per tentare di coprire il fianco destro. A quel punto Uluc Ali si insinuò all'interno della flottiglia genovese, pensando fosse in fuga e attaccando il fianco destro dello schieramento di Don Giovanni, procurandogli forti perdite. Uluc Alì, con il vento in poppa, aggredì da dietro la Capitana, la nave ammiraglia dei Cavalieri di Malta, al cui comando era Pietro Giustiniani, priore dell'Ordine. La Capitana viene circondata da sette galee. Uluc Alì cattura il vessillo dei Cavalieri di Malta, fa prigioniero Giustiniani, che era stato eroicamente ferito sette volte, e prende a rimorchio la Capitana.
Oltre la Capitana di Malta, pagarono cara la "strana" manovra di Gianandrea Doria, anche la Fiorenza e la San Giovanni della flotta papale, e la Piemontesa della flotta sabauda, che circondate da un nugolo di galee di Uluc Alì, si votarono lottando, all'estremo sacrificio. Non è stato ancora chiarito il motivo di questa manovra del Doria: fatto sta che non appena visto che Uluc Alì si era impegnato in quella facile battaglia, si diresse immediatamente contro il comandante barbaresco, il quale, vedendolo arrivare, diede l'ordine di sganciare le navi catturate e di ritirarsi, il Doria ritornò nei pressi della battaglia dopo mezz'ora.
Il Papa in seguito minacciò di morte Doria se si fosse presentato a Roma, dicendo che per il momento faceva meglio a starsene lontano: le sue azioni erano, secondo il pontefice, più da corsaro musulmano che da comandante della Cristianità; la sua galea e le navi genovesi avevano subito meno perdite di tutto lo schieramento cristiano, cosa che colpì negativamente quasi tutti i Comandanti nel raduno generale che fu fatto, non a caso, proprio nella galea di Doria.

Epilogo

Al centro, il comandante in capo ottomano Alì Pascià, già ferito, cade (forse ucciso da una rivolta di rematori cristiani o abbattuto da un'archibugiata) o forse si suicida per evitare l'umiliante cattura. La nave ammiraglia ottomana è abbordata e, contro il volere di Don Giovanni, il cadavere dell'ammiraglio ottomano Alì Pascià viene decapitato e la sua testa esposta sull'albero maestro dell'ammiraglia spagnola.
La visione del condottiero ottomano decapitato contribuì enormemente a demolire il morale dei Turchi. Di lì a poco, infatti, alle quattro del pomeriggio, le navi ottomane rimaste abbandonavano il campo, ritirandosi definitivamente. Il teatro della battaglia si presentava come uno spettacolo apocalittico: relitti in fiamme, galee ricoperte di sangue, morti o uomini agonizzanti. Erano trascorse quasi cinque ore quando infine la battaglia ebbe termine con la vittoria cristiana.
Don Giovanni d'Austria riorganizzò la flotta per proteggerla dalla tempesta che minacciava la zona e inviò galee in tutte le capitali della lega per annunciare la clamorosa vittoria: i Turchi avevano perso 80 galee che erano state affondate,ben 117 vennero catturate, 27 galeotte furono affondate e 13 catturate, inoltre 30.000 uomini persi tra morti e feriti, altri 8.000 prigionieri. Inoltre vennero liberati 15.000 cristiani dalla schiavitù ai banchi dei remi.

Gli Ottomani avevano a stento salvato un terzo (circa 80) delle loro navi e se tatticamente si trattò di una decisiva vittoria cristiana, la dimensione della vittoria strategica è dibattuta: secondo alcuni segnò l'inizio del declino della potenza navale ottomana nel Mediterraneo, altri fanno notare che la flotta turca si riprese rapidamente, riuscendo già l'anno successivo a mettere in mare un grosso contingente di navi, grossomodo equivalente a quelle messe in campo dalla lega. Queste flotte erano però meno ben armate ed addestrate di quelle precedenti, e dopo Lepanto la flotta turca evitò a lungo di ingaggiare grosse battaglie, dedicandosi invece con successo alla guerra di corsa e alla distruzione dei traffici nemici. La guerra di Candia, entro cui si può inserire la battaglia di Lepanto, fu inoltre una vittoria Ottomana. Solo con l'inizio di una lunga serie di guerre con la Persia, che proseguirono nel Caucaso e in Mesopotamia per tutti gli anni a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, la flotta della sublime porta fu messa in parziale disarmo e ridotta. Inoltre la flotta da guerra turca rimase numericamente paragonabile a quella veneziana (una potenza mediocre, ma tutt'altro che trascurabile nel contesto delle marine europee) fino alla fine del XVIII secolo.
I morti di nobiltà cattolica vennero sepolti nella chiesa dell'Annunziata a Corfù (spostati dopo il bombardamento dei Tedeschi del 13/09/1943 al cimitero cattolico di Corfù) mentre i morti nobili di religione ortodossa (piuttosto Corfioti) furono sepolti nella chiesa di S. Nicola nominata "Dei Vechi" e quelli non nobili in una chiesetta fuori le mura di Corfù denominata fin da allora "Dei martiri". Molti prigionieri ottomani, in particolar modo gli abilissimi e addestratissimi arcieri e i carpentieri, furono uccisi dai veneziani, sia per vendicare i prigionieri uccisi dai turchi in precedenti occasioni, sia per impedire alla marineria turca di riprendersi rapidamente. Quindi le navi fecero rientro a Napoli.
Nelle città d'occidente la notizia venne accolta in un tripudio di feste e gioia popolare che durarono giorni; a Roma, Venezia e Torino vennero celebrati solenni Te Deum di ringraziamento. A Napoli fu elevata la colonna della vittoria nel posto esatto dove le navi cristiane approdarono. Papa Pio V nel 1572 istituirà la "Festa di Santa Maria della Vittoria", successivamente trasformata nella "Festa del SS. Rosario", per celebrare l'anniversario della storica vittoria ottenuta "per intercessione della augusta Madre del Salvatore, Maria".
Ancora oggi non sono chiari, e probabilmente mai lo saranno, i meccanismi che hanno condotto alla vittoria della flotta cristiana, e i meriti, o le colpe, o le casualità, o le provvidenze. Ma la bandiera della nave ammiraglia turca di Mehmet Alì Pascià, presa da due navi pisane, la "Capitana" e la "Grifona", si trova (e ognuno può vederla) a Pisa, nella chiesa dei Cavalieri dell'Ordine Cavalleresco Sacro Militare Marittimo di Santo Stefano Papa e Martire, fondato da Cosimo I de' Medici granduca di Toscana.

Conseguenze

Questa battaglia fu la prima grande vittoria di un'armata o flotta cristiana occidentale contro l'Impero ottomano e, quindi, ebbe anche un'importanza psicologica dato che fino a quel momento i Turchi erano da decenni in espansione e avevano vinto tutte le 8 principali precedenti battaglie contro i cristiani.
La vittoria dell'alleanza cristiana segnò infatti un punto di svolta importante negli equilibri militari nell'area del Mediterraneo: dopo oltre un secolo di continua espansione Turca, che dalla occupazione di Costantinopoli in poi (1453) aveva continuato una avanzata che pareva ormai inarrestabile, conquistando via via Siria, Arabia, Egitto, spingendosi poi in Europa con la conquista di Belgrado, Rodi, l'Ungheria, arrivando persino ad assediare Vienna, la disfatta di Lepanto rappresentò la prima significativa inversione di tendenza, che impedì ai Turchi una ulteriore espansione, almeno nel settore occidentale del Mediterraneo, tradizionalmente si pensa che questo scontro segnò l'inizio della parabola discendente nella storia dell'impero Turco. In realtà più di un secolo dopo i Turchi erano ancora sotto le mura di Vienna, mentre Venezia dovette combattere altre lunghe guerre con l'impero Ottomano, perdendo infine il controllo su tutte le isole e i porti che possedeva in Egeo (come Creta) eccetto le isole Ionie. Inoltre la flotta ottomana riuscì a sconfiggere quella Veneziana presso capo Matapan al principio del '700; segno che l'impero, pur in relativa decadenza, continuava ad essere una delle principali potenze europee.
Nonostante la devastante sconfitta turca, la scarsa coesione tra i vincitori impedì alle forze alleate di sfruttare appieno la loro vittoria ed ottenere una supremazia duratura sugli Ottomani.
L'Impero ottomano, infatti (che pure aveva risentito duramente del colpo, secondo una versione riportata dai cronisti il Sultano perse il sonno per tre interi giorni quando fu informato della disfatta, secondo altri disse invece che gli era stata bruciata la barba, ma che con il tempo gli sarebbe ricresciuta), iniziò subito una poderosa opera di ricostruzione della flotta, che si concluse in 6 mesi e a seguito della quale, pur riacquistando la supremazia numerica nei confronti della coalizione cristiana, perse comunque il controllo completo dei mari, specialmente del Mediterraneo occidentale. La nuova flotta turca infatti era stata costruita troppo in fretta, tanto che l'ambasciatore veneziano disse che bastavano 70 galee ben armate e ben equipaggiate per distruggere quella flotta costruita con legname marcio e cannoni mal fusi.
La sconfitta, tuttavia, non permise ai Veneziani e all'esercito cristiano di riconquistare l'isola di Cipro che era caduta da appena due mesi in possesso ottomano. Questo a causa del volere di Filippo II, il quale non voleva concedere troppi vantaggi ai Veneziani derivanti da quella battaglia, visto che questi ultimi erano i più strenui rivali del progetto politico spagnolo di dominio assoluto dell'intera penisola italiana. La Serenissima fu quindi costretta a firmare un trattato di pace a condizioni poco favorevoli. I Veneziani infatti non avevano neanche allora dimenticato il comportamento della flotta spagnola durante la Battaglia di Prevesa, dopo che Carlo V aveva stipulato un trattato con il Khayr al-Dīn Barbarossa per distruggere la Repubblica di Venezia. Doria si rifiutò di dar battaglia ai Turchi e si ritirò dopo che molte navi veneziane erano entrate nel vivo del combattimento, sotto l'esplicito ordine dell'imperatore. Il Gran Visir Sokolli disse ai Veneziani che si potevano fidare più del Sultano che degli altri Stati europei, bastava cedere al volere del Sultano.
La battaglia di Lepanto ebbe anche importanti conseguenze all'interno del mondo musulmano, i barbareschi governavano il Magreb in nome del Sultano, e sotto il suo protettorato, soprattutto perché costretti dalla sua potente flotta e desiderosi di ottenere protezione contro la Spagna. Dopo questa battaglia fu chiaro che la flotta turca non era invincibile, mentre la Spagna, pur vittoriosa, era troppo impegnata a reprimere la rivolta dei paesi bassi spagnoli, e quindi le reggenze barbaresche "rialzarono la testa", guadagnando spazi d'autonomia, o dedicandosi alla pirateria, anche contro gli interessi del Sultano.