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La Battaglia di Zama

Premessa

Cugina della precedente e più famosa Battaglia di Canne (216 a.C.), decise la Seconda Guerra Punica a favore del popolo latino e la momentanea caduta di Annibale.
I due protagonisti furono proprio Annibale e Publio Cornelio Scipione, giovane "emergente" nella politica di Roma, la cui fama di brillante generale gli fece ottenere cariche cum imperio (cioè le cariche che comportavano il comando di eserciti, compito di estrema importanza a Roma), prima dell'età consentita.

Messi in ginocchio da anni di devastazioni da parte degli eserciti cartaginesi (favoriti anche dalla politica temporeggiatrice di Quinto Fabio Massimo), Roma e i suoi socii resistevano anche oltre ogni logica previsione di Annibale. Piuttosto che arrendersi ad un avversario che in guerra usava i trucchi e le imboscate per vincere, i romani sarebbero caduti uno ad uno e avrebbero continuato a mandare legioni, finché ne avrebbero avuto la possibilità. Anche le matrone romane donarono i loro preziosi per finanziare nuovi eserciti.
Questa reazione spropositata, spiazzò il cartaginese che fu costretto a rimanere bloccato nella penisola, perdendo consensi a Cartagine, non riuscendo a conquistare o piegare Roma.
Nel 204 a.C. fu Publio Cornelio Scipione che, per distogliere l'attenzione cartaginese dal sud italia propose di sbarcare con un esercito in Africa. Costretto dalla fazione senatoriale a lui avversa, che in quel momento aveva la maggioranza in Senato, prese il comando delle legiones Cannenses di stanza in Sicilia e partì per l'Africa. Queste legioni erano composte da tutti i soldati sconfitti da Annibale nel corso della guerra, mal equipaggiate e disprezzate. Scipione diede loro la possibilità di riscattarsi.

Scipione aveva studiato le tecniche di combattimento di Annibale, soprattutto quella di accerchiamento attuata a Canne. Quest'ultima, durante la permanenza in Africa riuscì a perfezionarla, permettendo l'accerchiamento, non grazie alla cavalleria, di cui l'esercito romano peccava, ma attraverso la fanteria.
Nel 202 a.C., quando i due contendenti si trovarono faccia a faccia nei pressi di Zama, si può dire che si conoscessero molto bene, avendo avuto a che fare, anche se indirettamente l'uno con l'altro durante tutta la guerra. Durante la calata di Annibale dalle Alpi, Publio salvò il padre durante la battaglia sul Ticino e scampò al massacro a Canne, poi operò in Spagna, conquistando Carthago Nova (attuale Cartagena), fondamentale colonia cartaginese.

La battaglia

Inizialmente Annibale schierò e ritirò l'esercito, fingendo di esser pronto a dar battaglia, perché anche l'avversario facesse lo stesso. Questo per avere la certezza che Scipione avrebbe attuato la tecnica di accerchiamento da lui perfezionata. Quindi il 18 ottobre attaccò.
Mandò avanti gli elefanti che però sfilarono senza troppi danni tra le maglie dell'esercito romano. Quindi la cavalleria cartaginese si fece inseguire da quella romana, obiettivo principale di Scipione era evitare che anche il cartaginese attuasse l'accerchiamento.

Nel frattempo prime linee cartaginesi, formate da mercenari, stavano cedendo premendo sulla seconda fila che impediva loro di arretrare. E Scipione non poteva attuare l'accerchiamento a causa della terza linea cartaginese formata da veterani freschi, più lontana dallo scontro. Inoltre la possibilità di ricambio tra i Cartaginesi permetteva loro di coprire i fianchi romani. Per evitare ciò Scipione fu costretto ad aumentare il suo fronte, assottigliando però le fila e diminuendo ulteriormente il ricambio tra i soldati romani, già provati.

Senza possibilità di manovra e senza le cavallerie (che ancora dovevano tornare dall'inseguimento), i romani dovettero arrivare allo scontro frontale con un nemico che li sovverchiava per numero e per la maggiore freschezza (non dimentichiamo poi l'effetto psicologico che una tale situazione dovette avere su legionari che già avevano subito lo shock della sconfitta). Ciò nonostante, i legionari non si persero d'animo. Quegli uomini sconfitti dai nemici ed esecrati dai loro stessi concittadini avevano, alla fine, una seconda possibilità e da quella speranza, da quella rabbia, trassero la forza di resistere alle forze puniche che li sovrastavano.
Definitivamente dispersa la cavalleria avversaria o disperatamente chiamata indietro da Scipione, tornò la cavalleria. Si avventarò alle spalle delle forze cartaginesi, creando scompiglio e massacrando il nemico. Lo schieramento cartaginese venne accerchiato e definitivamente annientato.