-Padre Giuseppe e Richelieu
-Padre Giuseppe, l'ascesa di Richelieu
-Padre Giuseppe, il Cardinale mancato
-Padre Giuseppe, l'uomo religioso
Nel 1610 Enrico IV era morto, assassinato da un fanatico forse armato dal partito cattolico. Questo fatto portò alla reggenza della moglie, Maria de' Medici, in nome del giovanissimo Luigi XIII. La Francia non precipitò nel caos, ma la regina madre dovette affrontare diversi problemi. Innanzitutto il riacuirsi della questione religiosa in seguito al regicidio: le false voci messe in giro da una parte e dall'altra fecero temere agli Ugonotti che si stesse organizzando una "nuova S. Bartolomeo". Maria, perciò, si affrettò a riconfermare l'Editto di Nantes. Il secondo problema furono le rivolte dei Grandi del regno che, scomparsa l'autorità centrale di Enrico IV, miravano ad ottenere il potere fomentando la popolazione e i Parlamenti.
Maria cercò di fermarli, ricorrendo al compromesso oppure facendoli dividere l'uno dall'altro grazie alle invidie e alle gelosie per la concessione di beni e privilegi: la stessa tattica utilizzata in precedenza dal marito. Il terzo problema, che si creò da sola, furono i grandi favori concessi a Concino Concini e Leonora Galigai. I due erano al seguito di Maria de' Medici quando era venuta in Francia per sposarsi con Enrico IV, e si sposarono a loro volta nel 1601. Specialmente Leonora fu al servizio di Maria per trent'anni, aiutando la protettrice nella complicata vita di Corte, e diventandone la confidente preferita. Quando il marito morì, Maria si trovò da sola in Francia e si appoggiò alle persone a lei più vicine, il Concini e la Galigai appunto. Gli onori e i privilegi a loro concessi, però, crearono scandalo nel Paese. Ben presto gli italiani vennero odiati da molti in Francia. Attorno alla coppia Concini-Galigai si era infatti formato un codazzo di toscani che dominava la corte francese e che aveva inaugurato una politica di folli spese, mettendo in crisi le finanze reali. Il Concini e la moglie davano inoltre scandalo e suscitavano riprovazione col loro commercio di cariche ed onorificenze.
Nel febbraio del 1614, guidati dal principe di Condé, alcuni grandi aristocratici si ritirarono a Mézières abbandonando la Corte per protesta contro la reggente. La accusavano di sperperare le entrate statali e pretesero la convocazione degli Stati Generali. Importante evento fu per Richelieu, e di riflesso per père Joseph, la sua elezione a rappresentante all'assemblea del clero del Poitou. In questa occasione Richelieu si rivelò estremamente opportunista, comportandosi come mai lo si vedrà in seguito, esaltando la regina madre la quale, colpita dall'orazione del vescovo, dietro le quinte gli affidò la presentazione delle richieste del Primo Stato (il clero) nella sessione plenaria di chiusura il 23 febbraio 1615. Il suo discorso riprese quello già fatto, appoggiando Maria de' Medici sia in politica interna che in quella estera, in particolare l'alleanza con la Spagna grazie al matrimonio di Luigi con l'infanta Anna d'Austria. Disciolta l'Assemblea non cambiò nulla e Richelieu sembrò tornare in disparte. Gli eventi languirono fino a una nuova ribellione del Condé, che colpì anche la cittadina di Richelieu in maniera devastante.
Per una serie di eventi, che alcuni chiamerebbero "caso", altri "fato", nelle sue peregrinazioni il Condé si fermò a Loudun, vicino a Coussay, dove si era ritirato Armand-Jean. Sempre a Loudun il nostro père Joseph stava predicando in quel momento. E, non ancora contenti, il fratello, Charles du Tremblay era un cavaliere al seguito di Condé. Il frate con la sua consueta capacità di persuasione, riuscì a convincere il principe a ritornare nell'alveo della legalità, sottomettendosi o almeno trattando con Concini. La pace venne stilata, i nobili fecero atto di sottomissione e tutto fu come se niente fosse accaduto. Ciò che è importante dal nostro punto di vista, però, è che durante i negoziati père Joseph e Richelieu si incontrarono spesso, soprattutto a Corte dove, almeno ufficialmente, il futuro Cardinale si recava per ottenere protezione reale per le sue proprietà saccheggiate (forse anche per essere consultato riguardo alla pace). Durante questi colloqui scoprirono di avere molti punti e interessi in comune: le opinioni sulla situazione del regno, l'immoralità della ribellione e la necessità dell'unità nazionale come bene morale. I due divergevano solo su un punto, almeno apparentemente: mentre il frate voleva vedere unita tutta la cristianità contro gli "infedeli", il vescovo era più attento a ciò che accadeva al di là dei confini francesi e vedeva gli Asburgo come la principale minaccia.
Il legame tra i due, però, non si saldò subito. Richelieu si legò al nuovo ministro delle finanze Claude Barbin, un uomo di Concini. Questo stretto coinvolgimento nei confronti dell'italiano non gli fu favorevole dato che, col passare del tempo, il potere del preferito della reggente si screditava sempre più agli occhi dei francesi.
La situazione in Francia rimaneva tesa dato che il Condé si rifiutava di tornare a Parigi a occupare il suo posto e fino a che non lo avesse fatto, ci sarebbe stato il pericolo in Francia di nuove ribellioni nobiliari. Su suggerimento del frate cappuccino, Richelieu venne così inviato a parlamentare con il Condé. Dopo una breve corrispondenza, i due decisero di incontrarsi a Bourges. Si raggiunse un accordo e il principe riapparve nella capitale nel luglio del 1616. Questa fu la prima azione politica intrapresa dal futuro cardinale intraprese, che, però, père Joseph non riuscì a vedere con i propri occhi dato che, il giorno dopo la firma della pace di Loudun, era partito per Roma, per portare avanti il progetto della Crociata contro i Turchi.
Quando, a circa un anno dalla sua partenza, père Joseph ritornò a Parigi, trovò la situazione completamente mutata.
Avevamo lasciato la Francia al ritorno del Condé a Parigi nel luglio del 1616 dopo le trattative con Richelieu. Nel frattempo, però, il principe era divenuto polo di attrazione dei dissenzienti che volevano mettere fuori gioco gli odiati italiani, in particolare il Concini. Per reagire a questa situazione, lo stesso Concini fece arrestare Condé mentre entrava nella camera del Consiglio e lo fece rinchiudere nella Bastiglia. Coloro che appoggiavano Condé, sparirono da Parigi cercando di sobillare rivolte in periferia e trovarono il loro appoggio in Carlo Gonzaga, duca di Nevers, che seppe dell'arresto mentre era in viaggio verso la Germania per reclutare lanzichenecchi per la crociata di cui abbiamo appena parlato. Nevers mandò una lettera insolente al re, riunì le truppe per la crociata e fece sollevare la regione che governava, la Champagne.
Il Concini e Maria de' Medici si rivolsero ansiosi a Richelieu che aveva conosciuto, tramite il cappuccino, il duca di Nevers; egli però non riuscì nell'intento di riportare il duca sotto l'ala del re. Questa volta la ribellione nobiliare era molto più grave perché coincideva con avvenimenti europei: il Bouillon, uno dei nobili che si erano ribellati, insieme ai suoi agenti, aveva fatto temere a Venezia la paura per un'alleanza tra i Borboni e gli Asburgo per strangolare i principati italiani in nome della Controriforma, mentre in Inghilterra, che la stessa alleanza servisse a portare il potere papale al di là della Manica; inoltre insinuando questa idea, e facendosi promotore di un movimento anti-cattolico, poteva far ribellare gli Ugonotti, precipitando la Francia nuovamente nelle guerre di religione63. Nel frattempo Richelieu consigliava di stroncare con decisione la rivolta sul nascere e così venne fatto, costringendo il Nevers alla trattativa, mentre lo stesso Richelieu, alla fine del 1616, entrava a far parte del Consiglio reale.
Agli inizi del suo mandato Richelieu si trovò confuso dai tanti e gravi problemi diplomatici di politica interna ed estera. Era indispensabile che la Francia costruisse una nuova strategia internazionale, magari indipendente dalla Spagna (con cui era fino a quel momento alleata). Nel 1621 sarebbe terminata la tregua tra la Spagna e i Paesi Bassi, inoltre l'Imperatore Mattia stava per morire e il suo successore più ovvio era il cattolico Ferdinando. Si profilava così all'orizzonte uno scontro di proporzioni mai viste tra protestanti e cattolici. Tanto più che lungo tutti i confini francesi transitavano truppe spagnole, i mari erano spagnoli o inglesi. Inoltre la Spagna era, per quanto riguarda la religione, cattolica senza compromessi, mentre buona parte della borghesia francese era ugonotta. La stabilità francese dipendeva quindi non solo dalla tranquillità all'interno, ma anche oltre i suoi confini, zone controllate per lo più dalla Spagna.
L'obiettivo principale del futuro cardinale era certamente la grandezza e alla stabilità della Francia. Non bisogna quindi stupirsi se, nell'Assemblea degli Stati Generali del 1614, aveva appoggiato la regina madre e l'alleanza con la Spagna. Ben presto tuttavia cambierà idea perché convinto che la Francia dovesse assumere un ruolo indipendente in Europa.
Ancora più importante della situazione europea, però, è quella all'interno della Francia nello stesso periodo. Stava emergendo a corte una nuova figura, favorita da Luigi XIII, Charles d'Albert de Luynes, il suo falconiere. Tutti consideravano il re di Francia sottomesso alla madre, ma ben presto si capì che il giovane Luigi era forse molto più indipendente di quanto si pensasse. Presto Luynes divenne punto di riferimento per gli oppositori. La posizione di Concini e di coloro che l'avevano appoggiato, compreso Richelieu, si stava indebolendo a vista d'occhio. Coloro che erano contro al Concini, spinsero il re ad acconsentirne l'assassinio, ma Luigi approvò solamente l'arresto che avvenne il 24 aprile 1617. Nel tentativo di evitarlo, il Concini fece un cenno di reazione e gli uomini del marchese di Vitry, capitano del corpo delle guardie reali, fecero fuoco. In poco tempo anche la Galigai venne raggiunta nei suoi alloggi e condotta alla Bastiglia. Il crollo di Concini fece decadere anche Richelieu che venne estromesso dal Consiglio reale. Il vescovo rischiò più volte, ora come in seguito, di essere linciato dalla folla accecata dalla rabbia nei confronti del fiorentino e dei suoi collaboratori. Lo stesso cadavere del Concini, sepolto in segreto, venne trovato e fatto a pezzi. La moglie invece venne accusata di stregoneria, decapitata e il cadavere bruciato sul rogo.
A questo punto era chiaro che Luigi avrebbe preso in mano le redini della nazione, esautorando la madre da tutte le funzioni di governo, ma ciò andava fatto rispettando la dignità reale e lei si rivolse a Richelieu perché facesse da tramite con suo figlio, dato che era l'unico degli ex ministri a non essere dietro le sbarre. Dai negoziati risultò che la regina madre avrebbe dovuto ritirarsi a Blois e il 3 maggio 1617 Luigi andò a salutarla prima della partenza in un incontro decisamente freddo.
Il carattere del re, liberato dall'ingombrante presenza materna, si rivelò di tutt'altro tipo rispetto a quello che tutti avevano conosciuto. In questo periodo Richelieu, che aveva seguito Maria de' Medici nel suo esilio, continuò a trattare come ambasciatore della regina, ma cercò allo stesso tempo di tornare a Corte. Per fare ciò scrisse a tutti coloro che potevano avere una qualsiasi influenza in tal senso: dal nuovo ministro Luynes al nostro cappuccino père Joseph. Il 7 aprile 1618, completamente in balìa delle decisioni del Luynes, Richelieu venne mandato in esilio ad Avignone e Maria de' Medici lo sostituì con l'abate fiorentino Luigi Rucellai, vecchio favorito di Concini.
Nonostante il frate fosse ancora fedele all'amicizia del vescovo, non c'erano le condizioni, al momento, per un ritorno al potere del prelato; così continuò a occuparsi della crociata. Solo più avanti la congiunzione degli eventi tornò a essere favorevole a entrambi. Fu così che decise di mettersi in viaggio per Madrid, una delle ultime potenze cristiane che non avevano risposto al suo appello, senza però ricevere risultati esaltanti.
Tornato in patria, il frate si dedicò all'attività che più gli andava a genio, l'evangelizzazione. Egli infatti si dedicò al terzo motivo del viaggio a Roma: le missioni nel Poitou. Queste campagne ebbero una grande risposta dato che i cattolici avevano bisogno di una rinascita della loro religione. La situazione in Francia, però, lo portò sempre più vicino a quella che oggi chiameremmo "alta politica". Era spesso richiamato a Parigi dal nunzio pontificio, dal Luynes e persino dal re. Anche il fratello di Luigi XIII, Gastone d'Orléans, rimase affascinato dalla figura del cappuccino; tuttavia presto si sarebbero ritrovati su sponde politicamente opposte. Ma nonostante tutti questi impegni non si dimenticò del suo amico vescovo, il quale aveva perso tutta la sua influenza con l'uscita di Maria de' Medici dalla scena francese.
La situazione, per il frate, rimase in una situazione di stallo fino a che, nel febbraio del 1619, la regina madre fuggì dalla prigione dorata di Blois, dove era rinchiusa. Questo fatto mandò nel panico la corte dato che ora, grazie alle trame di Rucellai, la regina madre si trovava a capo di una ribellione di principi, il più fedele dei quali era Jean-Louis de Nogaret, duca di Epernon. Maria de' Medici si rifugiò proprio presso costui, ad Angoulême.
Alla corte di Luigi XIII ci si aspettava un'alleanza tra Epernon e la vecchia regina con Bouillon, Condé e i Guisa, insieme a una ribellione degli ugonotti e l'intervento spagnolo a favore di Maria de' Medici. Questi timori erano assolutamente infondati, dati gli interessi divergenti che ognuna delle parti aveva, ma rende l'idea di come la notizia avesse avuto un certo effetto a Parigi.
Luynes cercò di prendere in mano la situazione e parlò con il nostro père Joseph e Bèrulle, i quali suggerirono di mandare una persona di cui la regina madre potesse fidarsi e che le potesse consigliare saggezza e prudenza. Chi poteva essere meglio del vescovo di Luçon? Père Joseph, però, non fece subito il nome di Richelieu, che Luynes poteva non approvare, essendo, nonostante l'esilio del primo, ancora rivali. Il cappuccino suggerì allora Sebastian Bouthillier, il decano del capitolo di Richelieu a Luçon, il piedritto su cui si sarebbe arrivati a innestare la chiave di volta. Non si dovette aspettare a lungo per questo. Le versioni delle immediate conseguenze dell'incarico dato a Bouthillier sono contrastanti: c'è chi sostiene che fu lo stesso decano a chiedere, per poter portare a termine la sua missione, di avere al suo fianco il vescovo; altri, invece, che sia stata la regina madre a chiedere a Bouthillier che Richelieu fosse tolto dall'esilio. Comunque sia andata, il risultato fu che agli inizi di marzo Charles du Tremblay entrò ad Avignone portando con sé l'ordine reale che affermava che il vescovo di Luçon doveva recarsi immediatamente al cospetto della regina madre.
Una volta al cospetto di Maria de' Medici, cercò in tutti i modi di rientrare nelle sue grazie, cercando di fare quello per cui era stato chiamato: tornò ad essere una sorta di primo ministro per conto della regina e si pose tra lei e i rivoltosi per cercare di portare un accordo tra il re e sua madre. Nel maggio del 1619 venne firmata la cosiddetta pace di Angoulême, attraverso la quale si diedero numerose concessioni sia alla Medici, a cui venne concesso il governatorato di Angiò, sia a Richelieu, il quale, però dovette fare fronte alle difficoltà economiche delle sue proprietà dato che il suo fratello Henri de Richelieu era morto in un duello (da qui deriverà la fermezza con cui Armand-Jean cercherà di combattere questa pratica in Francia, affermando la superiorità della giustizia regia alla vendetta personale).
La pace tra madre e figlio durò poco. Nel 1620, dopo quasi un anno di tensioni, di sotterfugi da parte dei consiglieri del re e della regina madre, di mosse diplomatiche su entrambi i fronti, e del mancato mantenimento della promessa, da parte di Luynes a Richelieu, di intercedere presso il papa per il cappello cardinalizio a cui tanto teneva, Luigi XIII alla seduta del Consiglio del 4 luglio dichiarò la guerra alla regina madre e a tutti i suoi sostenitori. L'avanzata delle truppe reali verso Angoulême non ottenne resistenze e arrivarono alle porte della città ad agosto. All'interno vigeva il panico più totale: ordini cui nessuno obbediva, la Medici che non prendeva decisioni, Richelieu che in un suo discorso alla moltitudine riunita, spingeva alla resa, inascoltato, per poi chiudersi in un cupo silenzio da cui uscì solo per esortare la regina a fuggire, inascoltato di nuovo. Il 7 agosto le truppe reali sconfiggevano quelle della madre nella battaglia di Ponts-de-Cé. Dai negoziati che ne seguirono tutto venne riportato allo status quo e la regina madre perdonata, con la riserva che da ora in avanti vivesse in armonia con la corte e Luynes, mentre a Richelieu la promessa, stavolta mantenuta anche se con riserve, del cardinalato.