-Padre Giuseppe e Richelieu
-Padre Giuseppe, i primi anni e la predicazione
-Padre Giuseppe, il Cardinale mancato
-Padre Giuseppe, l'uomo religioso
Nacque il 4 novembre 1577 a Parigi, nella casa dei genitori, in rue de Sainte-Avoie. Il padre, Jean Le Clerc, era consigliere del re e primo presidente del Consiglio di Palazzo, cancelliere del duca di Alençon e discendeva da una famiglia di legali e di amministratori; sua madre Marie de La Fayette di Saint-Romain, discendeva da quel maresciallo Gilberto Motier de La Fayette che fu associato alla vittoria di Giovanna d'Arco sotto Orléans e al suo trionfo nella cattedrale di Reims. Il nonno, Claude de La Fayette, gli lasciò in eredità una delle sue quattro baronie, cosicché venne conosciuto, quando arrivò a corte, come Barone di Maffliers.
La madre Marie non venne mandata in convento grazie all'intervento della lontana cugina Anne de Pisseleu, favorita dell'ormai defunto re Francesco I, e fu sempre lei a combinare nel 1574 il matrimonio con Jean, da cui nacquero oltre a François anche Marie e Charles.
Un bimbo molto chiuso in sé stesso, ma anche molto attento e capace di ascoltare e fare proprio quello che accadeva attorno a sé, come quando a soli quattro anni raccontò la storia della Passione di Cristo davanti agli ospiti di un banchetto organizzato dal padre. Oppure come quando a dieci anni, fu scelto dal suo maestro per fare un'orazione funebre in latino su Ronsard -conosciuto in Francia come Il principe dei poeti- della durata di un'ora, davanti a un pubblico numeroso e brillante.
Il padre curò la sua educazione, facendo in modo che imparasse il latino e il greco e in casa eccettuata la madre, tutti dovevano parlargli usando quelle due lingue. Nel 1585 andò nel Collegio di Boncourt.
Nel frattempo, però, la situazione nel paese si faceva sempre più delicata e pericolosa. La Lega cattolica e gli Ugonotti si scontravano con sempre maggiore forza, dilaniando la Francia e Parigi. In conseguenza di questo clima il 14 aprile 1587 Jean Le Clerc venne ucciso. Per François, molto legato alla figura paterna, fu un duro colpo e da questi avvenimenti maturò le proprie idee, che si sarebbero mescolate in seguito ai dogmi religiosi: la regola, l'ordine, la monarchia assoluta. In questo clima pesante la madre decise di interrompere gli studi del figlio e trasferire la famiglia in una casa di sua proprietà a Tremblay-sur-Mauldre vicino a Montfort-l'Amaury, nel contado parigino. Qui François studiò le lingue moderne (italiano, spagnolo) e ricevette rudimenti di filosofia, giurisprudenza, matematica. La vita trascorreva da Barone di Maffliers piuttosto che da futuro Padre Giuseppe, anche perché la madre, ormai diventata capo-famiglia, indirizzò la preparazione del figlio verso la carriera militare più vicina alla propria inclinazione culturale e sociale.
Durante la permanenza nella residenza materna, sembra che François abbia anche sperimentato l'amore, come lui stesso confessa nei Discours en forme d'exclamation sur la conduite de la divine providence, un resoconto sulla sua vocazione scritto più tardi quando divenne cappuccino novizio. Amore che però venne presto soffocato da lui stesso, colpito dal senso di colpa per aver ceduto a quel sentimento nemico di ogni elevata ambizione, simbolo della vanità della vita e soprattutto corruttore del sentimento verso Dio. Questa esperienza lo segnò molto, tanto che da questo momento crebbe in lui l'avversione, che poteva arrivare anche all disgusto se non all'odio, verso il sesso femminile, cosa che si portò dietro per tutta la sua vita.
Solamente nel 1594, Enrico IV riuscì a portare la pace in Francia, e la famiglia Tremblay poté tornare a Parigi dove François decise di frequentare l'Accademia Equestre di Antoine de Pluvinel, il primo dei maestri di equitazione, che lavorò per Enrico III e i suoi due successori, Enrico IV e Luigi XIII.
Nel 1595 François era pronto per intraprendere il Grand Tour, il viaggio che i nobili intraprendevano in giro per l'Europa per perfezionare l'educazione, durante o dopo gli studi. Le mete preferite erano la Francia, l’Olanda, la Germania, ma aveva come obiettivo privilegiato l'Italia e soprattutto Roma e Napoli, e di norma includeva le tappe di Venezia, Firenze, Bologna, talvolta Pisa, e poi i Campi Flegrei, i centri vesuviani, Paestum e la Sicilia.
Durante il Tour, i giovani imparavano a conoscere la politica, la cultura, l’arte e le antichità dei paesi europei. Passavano il loro tempo visitando luoghi d'arte, studiando e facendo acquisti. François era accompagnato in questo viaggio, secondo il diario tenuto dal suo segretario, da altri dodici giovani delle migliori famiglie parigine. Fino alla fine dello stesso anno rimasero bloccati a Marsiglia e solo allora poterono imbarcarsi per Genova. Da lì François toccò tutte le principali città nell'anno in cui si trattenne nella penisola. Fu un anno intenso, studiò la lingua, l'equitazione e la scherma, adempiendo in toto ai doveri del ruolo che si portava dietro, come Barone di Maffliers. Fu ovviamente a Roma, poi a Loreto, a Bologna dove si trovava una delle più importanti università europee dell'epoca e così a Padova dove ampliò e affinò le sue basi di giurisprudenza. A Venezia studiò il greco e da lì andò verso nord, visitando la Germania.
Nel 1597 venne il momento di tornare a Parigi, ma il giovane Le Clerc era consapevole del fatto che, una volta tornato, non avrebbe potuto fare strada senza un qualche appoggio importante. Aveva già prima di rientrare un'idea su chi avrebbe dovuto essere il suo appiglio verso l'alta società francese: Enrico I, duca di Montmorency, Conestabile di Francia, il quale aveva vissuto nello stesso quartiere della casa natìa, nella Rue de Sainte-Avoye.
Una volta a Parigi, François si adoperò subito per entrare nella sfera del Conestabile e fu sotto le sue dipendenze che il giovane fece esperienza del suo primo e unico fatto d'armi, l'assedio di Amiens. Nell'aprile del 1597, infatti, la città del nord della Francia venne a sorpresa conquistata dagli spagnoli e Enrico IV si adoperò per riconquistarla con un assedio che durò sei mesi. Il duca di Montmorency fu uno dei primi ad andare in aiuto del re, costituendo un'armata composta di giovani gentiluomini, parenti o clienti, molti dei quali letteralmente alle prime armi, portandosi dietro anche il giovane Le Clerc. Non si sa se effettivamente François abbia partecipato attivamente ai combattimenti, ma, come traspare dai suoi scritti più tardi, rimase profondamente colpito da questa esperienza militare.
La partecipazione più o meno attiva, ai fatti di Amiens aprì le porte della Corte al ragazzo e questo, insieme al forte volere della madre, lo indirizzarò verso una carriera diplomatica che nel 1598 lo portò probabilmente a partecipare, al seguito dell'ambasciatore André Hurault de Maisse, alle trattative della pace di Vervins a Londra. La pace, conseguente alla caduta di Amiens, avrebbe dovuto porre fine alle ostilità con la Spagna di Filippo II, ma la Francia non poteva stipulare un trattato con cotanto avversario senza conoscere il volere dei propri alleati, tra cui Elisabetta d'Inghliterra.
Questi anni, che compresero il ritorno di François nelle terre dei Maffliers, coincisero con un periodo di crisi spirituale. L'animo del giovane barone era già intriso di religiosità, di pentimento e di preghiera. Aveva già rifiutato le donne e soffocato qualsiasi sentimento che lo distraesse da Dio, ma la volontà della madre era stata fino ad allora più forte della sua cosicché aveva adempiuto ai suoi doveri di proprietario terriero, feudatario, soldato e cortigiano.
La sua crisi spirituale si inserisce in un momento particolare per la vita religiosa francese: proprio alla fine del XVI secolo, infatti, importanti e influenti personalità favorirono la diffusione del misticismo.
A quanto pare la giovane mente di François venne influenzata da queste grandi personalità, la prima delle quali fu Pierre de Bérulle. Fatto Cardinale nel 1627 da papa Urbano VIII, divenne uno dei più importanti esponenti della restaurazione cattolica francese, fondando l'Oratorio di Parigi, una congregazione che intendeva porre rimedio all'ignoranza e alla rilassatezza dei costumi del clero e operare per il rinnovamento della vita ecclesiastica secondo i dettami del Concilio di Trento.
Per la formazione di François, fu molto importante la lettura della Règle de Perfection, scritta dal cappuccino inglese Benoit of Canfield che aveva come intento quello di "alleviare le coscienze attraverso la pratica delle virtù e un totale abbandono dell'anima a Dio. Tutto ciò non avrebbe deluso un giovane uomo che cercava una religione intensa per alleviare la sua coscienza". Tutti questi personaggi resero la religiosità del giovane François, se possibile, ancor più radicale e radicata.
La vita in convento però, non poteva essere intrapresa se non avesse ottemperato a un obbligo a cui sentiva di dover adempiere: ottenere il consenso da parte della madre.
Come si potrà ben immaginare da tutto quello che si è detto finora, Marie non era per niente disposta a concedere il desiderato permesso. Tanto più che aveva cercato alacremente una giovane sposa, con la cui dote rimpinguare le casse famigliari divenute sempre più esigue dalla morte del padre. Nonostante ciò il figlio riuscì a spuntarla e nel 1599 iniziò il noviziato, non a Parigi, bensì a Orléans, diventando cappuccino l'anno seguente, col nome di père Joseph. Quando François prese gli ordini il fratello era troppo piccolo per prenderne il posto e il 20 settembre 1600 i possedimenti della famiglia Tremblay vennero sequestrati dagli uomini al soldo del duca di Montmorency, fortemente indebitato. La madre fu costretta poi, nel 1602, a vendere gli ultimi beni dei Maffliers per riuscire a mantenersi.
L'ingresso nel noviziato e poi nell'Ordine cappuccino, fu motivo di grande travaglio interiore. François si doveva lavare di tutti i peccati accumulati nella sua breve vita, quelli a cui lo avevano portato il titolo di barone e la volontà di sua madre: la ricerca di privilegi, la guerra, i beni posseduti, la vita mondana, le danze, l'abbondanza dei banchetti e dei vestiti, tutti motivi di traviamento. Si consacrò così all'essenziale ricerca delle virtù cristiane.
Non bisogna dimenticare il fatto che l'Europa dell'epoca era intrisa di un rinnovato rigorismo religioso e di terrore verso il peccato individuale e collettivo. Le disposizioni del Concilio di Trento, terminato nel 1563, cominciavano a dare i loro frutti, in fatto di Riforma Cattolica e l'operato della temutissima Inquisizione e degli ordini religiosi, rendeva la vita difficile a coloro i quali non fossero giudicati completamente puliti da qualsiasi peccato.
Père Jospeph vedeva nel mondo del suo tempo una costante e inesorabile decadenza, alla quale non voleva assolutamente prendere parte.
I primi anni di attività all'interno dell'Ordine furono in gran parte dedicati a risolvere le dispute riguardo alle rimanenti proprietà di famiglia e a cercare di affinare e fissare il suo modello di spiritualità.
Le principali opere che scrisse nei primi vent'anni del XVII secolo furono l'Introduction à la vie spirituelle (1616), La vocation des religieuses de la première Reigle de S. Benoist (1621), e la Perfection séraphique (1624). Père Joseph nei primi anni della sua conversione fu influenzato enormemente dallo stoicismo cristiano. Egli richiama spesso a una "ragione dell'anima", la quale dovrebbe consistere in costanza e in padronanza ragionata dei sentimenti e delle passioni. Il cappuccino elaborò un vero e proprio percorso di ascesa verso Dio, un metodo universale di preghiera fatto di tre vie: purgazione, illuminazione, unione.
Dopo essere entrato definitivamente nell'Ordine dei cappuccini nel febbraio del 1600, venne mandato al seminario di Rouen, da cui poté uscire precocemente grazie alla sue conoscenze, saltando, dei quattro anni complessivi, un anno di filosofia e un altro di teologia. Lo stile di vita che praticava all'interno del chiostro non era approvato dai suoi fratelli. Il regime del convento, già rigido per conto proprio, era reso dal religiosissimo novizio ancora più duro. Privazioni personali, lavori mortificanti, sempre scalzo con qualsiasi condizione climatica. Se i suoi pari erano negativamente colpiti dal suo zelo, i suoi superiori erano positivamente interessati alle doti per la preghiera. Il suo era un raccoglimento mentale, una sorta di contemplazione, che portava non di rado all'estasi e alle visioni.
Tutte queste particolarità, unite alle sue conoscenze e all'abilità nella retorica e nella controversia religiosa, gli valsero nel 1603 la carica di lettore di filosofia nel convento di rue Saint-Honoré. Ma la carriera di studioso durò solo un anno perché venne stroncata dall'aggravarsi progressivo della vista che lo renderà quasi cieco a lungo andare.
L'impossibilità di svolgere il compito di insegnante gli valse l'autorizzazione a predicare e venne inviato alla casa dei cappuccini a Meudon, attuale periferia di Parigi, per prendersi cura dei novizi. L'anno che passò nell'Île-de-France fu molto impegnativo poiché, col permesso dei suoi superiori, la sua azione pastorale si rivolse sia ai novizi, sia agli abitanti di quella regione. Tutti i villaggi nei dintorni di Parigi avevano sofferto molto per le guerre di religione appena terminate; i soldati e i predoni avevano saccheggiato e spogliato di beni le botteghe, le fattorie e le chiese. La regione era quindi precipitata sempre più verso l'anarchia, visto che anche i pochi religiosi rimasti avevano ceduto, nella desolazione lasciata, a una vita non propriamente edificante.
In questo contesto, come si diceva, il cappuccino ottenne il permesso di predicare, e qui, possiamo immaginare tra i resti e le macerie, e sicuramente tra persone affamate e bisognose di una guida, mise in pratica per la prima volta gli anni di studio e di riflessione. Le fonti parlano di un successo strepitoso delle sue orazioni in pubblico, tanto che spesso ci si dovette riunire all'aperto e non dentro a qualche chiesa, tante erano le persone venute ad ascoltarlo. Alla sera, finite le apparizioni in pubblico, si ritirava nella sua cella e riprendeva gli esercizi di preghiera mentale, poi dopo poche ore di sonno, ricominciava da capo. Quello che è certo è che la sua opera diede sicuramente buoni frutti, che non sfuggirono a chi di dovere. Nel 1605 venne nominato guardiano del convento di Bourges, sempre con incarico di evangelizzazione, poi l'anno seguente venne mandato a Le Mans.
Con ritmi sempre più serrati il giovane cappuccino veniva inviato a predicare ai quattro angoli della Francia: dopo Le Mans fu a Angers, Saumur, Caen, Nantes, Blois, Châtellerault, Angoulême, Poitiers. Particolare fu il caso di Saumur: questa città, infatti, era una di quelle citate nell'Editto di Nantes del 1598 perché fosse governata dagli Ugonotti. Sotto la guida del governatore Du Plessis-Mornay era diventata un centro di cultura calvinista e vi era stata fondata un'accademia i cui insegnamenti, ovviamente, erano impartiti da professori protestanti provenienti da tutta Europa. La roccaforte calvinista aveva, però, una piccola comunità cattolica e fu lì che père Joseph andò a predicare. Venne però in mente al cappuccino di cercare di far installare un convento di cappuccini proprio lì e fece questa proposta alla riunione del Capitolo della sua provincia che si tenne a Parigi. La proposta venne approvata, ma rimaneva l'ostacolo del governatore di Saumur che fino ad allora aveva rifiutato la presenza di frati.
Nell'agosto del 1606 partì da Parigi per diventare guardiano del convento di Rennes e trovare un modo per portare l'Ordine anche a Saumur.
Il primo passo compiuto da père Joseph fu quello di fare visita all'abbazia di Fontevrault, casa madre di un ordine del XII secolo, l'Ordine di Fontevrault, appunto. Quest'Ordine era immensamente ricco, con numerosissime proprietà sparse per tutta la Francia, e reclutava le sue monache tra le figlie delle più importanti famiglie aristocratiche del Paese. La badessa a cui il nostro cappuccino andò a far visita era, nel 1606, Eleonora de Bourbon, una zia del re Enrico IV. Il titolo di Eleonora e la posizione di Fontevrault, molto vicino a Saumur, facevano sì che la badessa fosse la persona più adatta a trattare con il Du Plessis-Mornay. L'intercessione di cotanta interlocutrice, convinse suo malgrado il governatore a permettere l'installazione dei cappuccini nella sua città, ma fece di tutto per mettere loro i bastoni tra le ruote38. L'editto reale che permetteva l'installazione di un convento cappuccino a Saumur per tre anni non venne approvato dal parlamento locale39, grazie a macchinosi impedimenti giuridici. Solo nel 1609 venne solennemente posta la prima pietra dell'edificio. Père Joseph aveva vinto ed aveva fatto un'ottima impressione sulla badessa, la quale rimase colpita dai modi raffinati e gentili, tipici di un nobile (quale era père Joseph) nonostante l'aspetto non propriamente curato del giovane. È proprio il caso di dire che "l'abito non fa il monaco"! La nobile Eleonora era afflitta da un problema: l'eccessiva rilassatezza delle monache nei confronti del voto di povertà. Queste trascorrevano la loro vita nel chiostro godendo di rendite e di proprietà private e circondandosi di domestiche. La soluzione venne discussa tra il cappuccino, la badessa e la nipote di questa, Antonietta d'Orléans, nipote e coadiutrice di Eleonora, molto più devota della zia. Antonietta aveva da tempo il desiderio di creare una congregazione di pure contemplative, dentro o fuori l'ordine di Fontevrault. Père Joseph era la soluzione ai problemi di entrambe: preparò prima un programma di riforma moderata per Eleonora e le sue monache mondane, poi un altro per Antonietta, molto più rigido, che prevedeva un nuovo ordine claustrale. Non c'è bisogno di dire che si trovò molto più a suo agio nel redigere quest'ultimo.
Il compito di stilare il nuovo regolamento dell'Ordine di Fontevrault fu molto difficile, tanto più che le monache stesse erano ben lungi dal voler essere riformate. Per meglio adempiere a quello che ormai era diventato un impegno gravoso (ma che portava avanti solo grazie alla consapevolezza che quella fosse la volontà di Dio), père Joseph chiese aiuto a un giovane vescovo della vicina diocesi di Luçon, Armand-Jean du Plessis di Richelieu.