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Il Time e la guerra del Vietnam

Grazie all'autrice di questo post, Sara P.

Il giornalismo americano ha attraversato diverse fasi in cui l'orientamento e il peso politico dei mass media è stato molto diverso. Le fasi principali che si possono individuare sono cinque: il giornalismo politico del Settecento, quello commerciale dell'Ottocento, il giornalismo “professionale” che nasce negli anni '30, il giornalismo “interpretativo” post-1968 e infine il giornalismo “frammentato” degli ultimi 15 anni.

È sostanzialmente la guerra che cambia il giornalismo: prima di tutto la guerra Civile, in base alla quale nacque l'uso di firmare gli articoli, nacque un mercato nazionale delle news mentre prima del 1861 ogni giornale era un'impresa locale. Durante la guerra, i giornali iniziarono a pubblicare le liste dei caduti e questo creò un legame duraturo tra la stampa e gli Americani; infine, la guerra portò sui giornali i disegni e le prime fotografie, aprendo la strada agli sviluppi successivi dell'editoria di massa.
Sul piano politico, la Prima guerra mondiale permise la nascita di una propaganda governativa scientificamente organizzata, oltre a molte restrizioni della libertà di parola e di stampa. La “scientificità” del lavoro giornalistico venne proposta da Walter Lippmann, il quale sosteneva il valore dell'obiettività, intesa non come ricerca attiva della verità ma come precisa identificazione delle fonti della notizia e di correzione sistematica degli errori e delle imprecisioni.

Il Vietnam lasciò un segno indelebile sul giornalismo americano: è opportuno ricordare i già citati Pentagon Papers, i quali furono pubblicati sul New York Times nonostante la resistenza dell'amministrazione Nixon, che trascinò il giornale davanti alla Corte Suprema. Era il 1971 e la Corte diede il via libera alla pubblicazione. La posizione del governo era debole perché si trattava di una storia diplomatica e quindi sostenere che “danneggiava la sicurezza nazionale” era una forzatura. D'altra parte, il New York Times non era in una posizione particolarmente forte perché i documenti erano stati ottenuti illegalmente. In questo senso, fu molto significativa la motivazione scritta dal giudice Hugo Black: “la stampa fu protetta nella Costituzione affinché potesse rivelare i segreti del governo e informare il popolo” (US Supreme Court, 1971).

Molto importante fu anche la televisione nel periodo della guerra in Vietnam. Quando la crisi vietnamita arrivò, il ruolo della CBS fu rilevante; dal 1963 in poi, sul conflitto erano state riferite dai network solo le verità ufficiali e positive del Pentagono e della Casa Bianca. In questo caso il giornalista televisivo si presentava non come un osservatore disinteressato ma come un patriota. La situazione cambiò nel 1968, dopo l'offensiva del Tet; Cronkite ebbe dal presidente della CBS-News, Richard Salant, il permesso di andare in Vietnam per un reportage. Cronkite giunse a Saigon dove ancora erano in corso dei combattimenti, ma il comando americano gli assicurò che il Tet era stato un successo; Cronkite però non si accontentò di queste spiegazioni e andò a Hue. Pochi giorni prima il generale Westmoreland aveva detto che la battaglia a Hue era finita, ma quando Cronkite arrivò in città scoprì invece che i vietnamiti erano ancora lì: si combatteva nel centro cittadino e non c'era stata nessuna grande vittoria. Questo significava che i generali avevano mentito su Hue e, forse, anche su tutto il resto. Quando Cronkite tornò a New York, preparò uno speciale di mezz'ora che si concludeva con la frase: “L'unica via d'uscita razionale sarà di negoziare”.

Non fu dirompente l'effetto sul pubblico, bensì quello sulle élite: nonostante questo, la guerra verrà combattuta ancora per cinque anni, ma alla fine le uniche soluzioni possibili furono il negoziato e il ritiro delle truppe, esattamente ciò che aveva proposto Cronkite. Molti giornalisti, per quanto legati al governo, seppero trovare in occasione del Vietnam coraggio sufficiente per opporsi alle politiche di Johnson e di Nixon, ma rimasero sempre una minoranza. All'inizio degli anni '80 la CBS fu impegnata in un altro processo clamoroso: quello contro il generale Westmoreland, il quale si era sentito diffamato da un documentario trasmesso nel 1982 in cui lo si accusava di aver sottostimato, nei suoi rapporti a Washington, la forza delle truppe vietnamite prima dell'offensiva del Tet. Alla fine, dopo milioni di dollari spesi da entrambe le parti, Westmoreland ritirò la querela. Il processo fu un successo per la stampa dal punto di vista legale, ma la reputazione del network ne soffrì. In sintesi, si può affermare che il sistema dei media degli USA è caratterizzato da una varietà di modelli che ha favorito non solo l'intensa dinamicità del sistema mediatico stesso, ma anche la sua relativa democraticità. Il sistema dei media americano si è imposto anche in Europa, dove però si è concretizzato in un regime più fluido e scarsamente regolato rispetto al più rigido sistema statunitense.

“Time” è la prima rivista settimanale americana moderna che viene creata nel 1923 da Briton Hadden e Henry Luce. I 2 avevano già lavorato insieme in qualità di presidente e caporedattore dello Yale Daily News. Hadden era una figura piuttosto “spensierata” e si divertiva a tormentare Luce; egli vedeva il “Time” come qualcosa di importante ma anche di divertente. Il primo numero del “Time” venne pubblicato il 3 marzo 1923. Alla morte di Hadden nel 1929, Luce divenne la figura dominante all'interno della redazione del “Time” e la figura maggiore nella storia dei media del XX secolo. Inoltre, Luce divenne il maggiore azionista del Time Inc.; il suo braccio destro era Roy Larsen, il secondo maggiore azionista. Nel 1929, Larsen venne anche nominato direttore e poi vicepresidente del “Time”. Alla morte di Luce, Larsen prese il suo posto in qualità di presidente. Dopo l'edizione del primo numero del “Time” nel marzo 1923, Larsen fu capace di incrementare la circolazione della rivista utilizzando la radio e il cinema, permettendone la diffusione in tutto il mondo. Infatti, venne inizialmente creata l'edizione europea, nota col nome di “Time Atlantic”, con sede a Londra: essa copre il Medio Oriente, l'Africa e, dal 2003, l'America latina. L'edizione asiatica, “Time Asia” ha base a Hong Kong. L'edizione del Pacifico del Sud, che copre Australia, Nuova Zelanda e le isole del Pacifico, ha sede a Sidney. “Time” divenne parte della Time Warner nel 1989, quando venne fondata la Warner Communications and Time, Inc. Dal 2000, la rivista divenne parte del AOL Time Warner, che cambiò nuovamente il nome in Time Warner nel 2003.

Gli articoli del “Time” nel 1965, anno dell'escalation militare americana in Vietnam, colpiscono immediatamente per la loro lunghezza: nella prima parte dell'anno, in particolare da gennaio a marzo, le pagine dedicate alla guerra erano molto poche e limitate per lo più alla sezione The world, segno della scarsa percezione che la popolazione aveva del conflitto. Ciò era dovuto anche alle poche informazioni fornite dall'amministrazione Johnson in merito alla politica di guerra adottata fino a quel momento. Vengono comunque menzionate le voci discordanti nei riguardi della politica presenti sia all'interno dell'amministrazione, sia tra i vari movimenti studenteschi e non solo nati in quegli anni.

Nell'edizione del 12 febbraio viene descritto l'attacco dei Vietcong alla base militare americana di Pleiku, in seguito al quale il presidente Johnson decise di dare inizio ai bombardamenti. Egli ci tenne a sottolineare che non si trattava di un'estensione del conflitto e quindi di un maggiore coinvolgimento americano, ma semplicemente di una risposta agli attacchi subiti. Altro argomento importante è il colpo di stato attuato dal triumvirato composto da Ky-Thi-Thieu che va a sostituire il Primo Ministro Khanh il 1° marzo, il quale viene costretto a lasciare il paese in qualità di “ambasciatore” in Europa e America, come sostiene l'edizione del 5 marzo. È soprattutto a partire dall'edizione del 12 marzo che il Time inizia ad affrontare in maniera più approfondita la questione della guerra, iniziando a parlarne nella sezione The U.S., sintomo che il Paese cominciava a percepirlo come un problema nazionale vero e proprio. La causa di questo maggiore interesse è dovuta allo sbarco delle prime truppe di marine americani sbarcati a Da Nang l'8 marzo, preceduto pochi giorni prima dall'inizio di bombardamenti a nord del 17° parallelo (l'operazione Rolling Thunder). L'edizione del 19 marzo inizia parlando proprio delle truppe di marines sbarcate da pochi giorni in Vietnam; la decisione era stata ponderata per settimane a Washington prima di essere presa. Intanto i Vietcong occupavano 1/3 della parte settentrionale del Vietnam del Sud ed attaccarono Da Nang il 18 marzo. Fu quindi inevitabile lo scontro armato coi comunisti, anche se il ruolo dei soldati americani doveva essere solo difensivo. Nel frattempo continuavano i bombardamenti sul Nord: i bersagli scelti consistevano in depositi di munizioni, industrie e ponti, si cercava di evitare obiettivi civili. Ad aprile viene registrato l'aumento dei bombardamenti americani, tanto che Hanoi inviò agli altri paesi comunisti la richiesta dell'invio di uomini in suo aiuto.

Pechino, che fino a quel momento non si era espressa in merito al conflitto, rispose che avrebbe inviato i propri soldati nel momento in cui i Vietnamiti li avrebbero voluti, suscitando delle tensioni negli Stati Uniti. Le edizioni del 16 e del 23 aprile contengono articoli molto ampi non solo sulla politica estera americana e sul Vietnam del Sud, come era stato fino a quel momento, ma anche sul Vietnam del Nord, segno probabilmente dell'estensione dell'interesse della popolazione americana per quanto riguardava la guerra. Negli articoli del 16 aprile gli USA vengono descritti come aperti ai negoziati e all'intervento finanziario per lo sviluppo del Sudest asiatico; contemporaneamente però aumenta il ritmo della guerra. Si diffondono molte voci di protesta provenienti dai movimenti studenteschi ma anche dagli altri governi, voci che Johnson non può ignorare; infatti decide di tenere un discorso prima all'Università di Baltimora e poi alla Jhons Hopkins University. Per quanto riguarda i negoziati, Ho Chi Minh dichiara che questi potevano iniziare solo se gli Stati Uniti si ritiravano dal Vietnam del Sud. Nonostante la posizione del leader comunista, i bombardamenti sul Nord continuarono e furono inviati altri marines nel Sud; i Sudvietnamiti ottennero tra l'altro un'importante e significativa vittoria nel delta del Mekong, resa possibile grazie all'appoggio aereo americano.

Gli articoli del 23 aprile si basano soprattutto su alcune testimonianze di ufficiali americani e di un giornalista francese che aveva vissuto per un certo periodo coi Vietcong. Egli scrisse che i guerriglieri nel Sud erano demoralizzati dai continui bombardamenti, che tra l'altro erano aumentati nonostante la marcia di protesta su Washington che ne chiedeva la sospensione oltre al ritiro dal conflitto, che i rifornimenti dal Nord erano bloccati e che stavano perdendo il sostegno della popolazione. Per quanto concerne gli articoli del mese di Maggio, essi riguardano essenzialmente le decisioni prese dal presidente e della cui correttezza egli era sicuro, e l'aumento dei bombardamenti a nord del 17° parallelo dopo la pausa voluta da Johnson stesso. La funzione della pausa era sostanzialmente quella di dare del tempo agli USA per cercare nuovi obiettivi da bombardare. Il Vietnam del Nord tuttavia la condanna ritenendola una “truffa” a suo danno e una strategia degli americani per organizzare nuovi atti di guerra. Intanto negli Stati Uniti continuano gli incontri nelle università. Nei mesi estivi, da giugno ad agosto, la domanda che si pone il Time e che quindi si pone la popolazione statunitense è quante truppe serviranno ancora per impedire la vittoria dei comunisti nel Sud. Nella rivista del 18 giugno viene scritto che l'amministrazione aveva annunciato pubblicamente che le truppe americane erano autorizzate a combattere al fianco dei Sudvietnamiti e che il generale Westmoreland aveva ottenuto l'autorizzazione a decidere l'invio in battaglia delle truppe, senza dover interpellare costantemente Washington: da questo momento ha inizio una nuova politica estera americana, che culmina nell'invio di altri 8.000 uomini, portando così il numero di soldati presenti in Vietnam a più del triplo di quelli inviati solo sei mesi prima.

L'intensificazione del coinvolgimento americano nella guerra comporta naturalmente la crescita del dibattito politico sia all'interno degli Stati Uniti, per cui i repubblicani cominciano ad attaccare la politica intrapresa dal governo, che all'estero. Il numero del 16 agosto è significativo: la copertina è dedicata all'ormai settantacinquenne Ho Chi Minh, per il quale viene riservato un ampio spazio all'interno della rivista. Nell'articolo che lo vede protagonista vengono riportati una sua breve biografia e un approfondimento sulle sue tecniche di guerra, la sua ideologia e le sue opere in qualità di presidente del Vietnam del Nord. Non viene praticamente menzionata l'incessante richiesta di invio di altre truppe presentata da Westmoreland al presidente, se non nell'articolo riportato nel numero del 30 luglio, ma solo perché essa era stata rivolta a McNamara, il quale era presente a Saigon con Henry Cabot Lodge e con Wheeler per un “viaggio-studio” voluto da Johnson. Per quanti temevano l'invio anche delle riserve, questa notizia venne smentita nell'edizione del 6 agosto in quanto tale invio era ritenuto non necessario dal governo. In merito agli avvenimenti bellici, la stagione dei monsoni aveva decisamente favorito le azioni dei Vietcong, le cui vittorie subirono però un rallentamento in quanto era necessario il reclutamento di altri volontari provenienti anche dall'estero, in particolare dalla Cina. Alla notizia di un possibile attacco dei Vietcong alla base aerea di Chu Lai, gli Americani diedero inizio all'Operazione Starlight, la quale viene descritta minuziosamente nelle sue fasi iniziali in un articolo contenuto nell'edizione del 27 agosto.

A settembre l'avvenimento più importante riguarda certamente le dichiarazioni del senatore democratico Mike Mansfield, esposte nel numero del 10 settembre: egli dichiarò infatti che i comunisti si sarebbero seduti al tavolo dei negoziati solo se le condizioni proposte fossero state accettabili. Inoltre presentò ai Nordvietnamiti le posizioni degli Stati Uniti e alcune sue condizioni che definì egli stesso come delle “appendici”. Un altro suo concetto interessante riguarda la somiglianza tra USA e Vietcong in quanto entrambi, secondo lui, volevano la pace e la prosperità del Vietnam del Sud. Da ottobre a dicembre diminuisce la lunghezza degli articoli perché gli eventi più importanti si sono verificati entro la fine dell'estate.

È da sottolineare il numero del 22 ottobre, nella cui copertina è presente il titolo “Il punto di svolta in Vietnam”: l'articolo contenuto al suo interno consiste in un resoconto degli avvenimenti più importanti che hanno caratterizzato il 1965 fino a quel momento e che hanno visti protagonisti gli Americani. Ancora al 5 novembre sembrava molto lontana la prospettiva di poter dare inizio ai negoziati. Infatti, se anche Hanoi fosse stata disposta a porre fine ai combattimenti - prospettiva altamente improbabile – l'impegno degli Stati Uniti in Vietnam non sarebbe terminato ma avrebbe solo avuto inizio una nuova fase del conflitto. Inoltre gli USA avrebbero ritenuto un successo esclusivamente l'imposizione del controllo nel paese da parte di un governo forte e questo controllo poteva essere ottenuto solo dall'annientamento totale del nemico. Il timore del disaccordo della popolazione americana in merito a queste idee venne confutato dal fatto che la maggioranza della popolazione sosteneva la politica asiatica decisa dal governo. In questo clima alcuni ufficiali si recarono a Washington dove dichiararono i negoziati non necessari e indesiderati. Le truppe americane si dimostrarono inoltre assolutamente efficienti nella vaste e numerose operazioni nelle quali furono impegnate, l'ultima delle quali si svolse presso Plei Me. Un maggiore incremento nel loro livello in combattimento venne deciso dal presidente Johnson, come riporta un articolo del 19 novembre. Per quanto riguarda la guerra aerea, venne abbattuto un taboo, nel senso che durante alcuni combattimenti furono ordinati dei bombardamenti che andarono a colpire una zona vicina ad Hanoi, la quale fino a quel momento era stata sempre evitata dai bombardieri americani. Quest'ulteriore aumento dell'impegno bellico non voleva dire un cambiamento nella politica di Washington; il Segretario di Stato Dean Rusk infatti dichiarò che gli USA restavano aperti alla pace se da parte sua il Nord avesse posto fine ai combattimenti.

Nell'edizione del 3 dicembre è presente un articolo importante che riguarda un'ulteriore intensificazione dei bombardamenti. Gli Americani avevano infatti individuato un “triangolo rosso”, ovvero una zona compresa tra Hanoi e Haiphong ricca di obiettivi da distruggere; in particolare, risultava di fondamentale importanza la distruzione del porto di Haiphong, la quale avrebbe causato ingenti danni ai comunisti. Tuttavia questi bombardamenti avrebbero causato molte vittime tra i civili, quindi la propaganda all'interno degli USA che da novembre si era rivelata favorevole alla politica di guerra avrebbe subito una battuta d'arresto e inoltre avrebbero suscitato le proteste di molti alleati degli Stati Uniti. Di conseguenza, repubblicani e democratici cercavano di impedire un'ulteriore intensificazione dello sforzo militare, già molto alto. Infatti, molti soldati americani stavano perdendo la vita nelle battaglie che si stavano svolgendo nella valle dello Ia Drang, iniziate all'incirca una settimana prima. Altro argomento importante affrontato in questi ultimi numeri della rivista, sia nell'edizione del 3, sia nell'edizione del 10 dicembre, riguarda i tentativi di far aprire entrambe le potenze ai negoziati di pace. Il Primo Ministro britannico voleva riconvocare la Conferenza di Ginevra alla quale avrebbero dovuto partecipare anche Nord e Sud Vietnam, ma Ho Chi Minh si dimostrò assolutamente contrario ad una sua partecipazione e, in generale, alla pace finché gli Stati Uniti non si fossero ritirati dal paese. Nemmeno i russi intervennero per cercare di convincere il leader comunista a porre fine alla guerra in quanto, secondo loro, non avevano l'autorità necessaria per svolgere questo compito. Mosca infatti aveva sostenuto solo in maniera limitata il Vietnam del Nord, mentre l'aiuto maggiore era giunto da Pechino, la quale si rifiutava anch'essa di partecipare ai negoziati. Secondo il “Time”, il rifiuto di Hanoi e Pechino era dovuto al fatto che esse erano convinte della vittoria americana, per cui si rifiutavano di trattare.

 D'altra parte, i comunisti vietnamiti avevano sempre sostenuto che avrebbero combattuto per altri venti anni se necessario, ma di certo non si sarebbero arresi. Per quanto riguarda la situazione a Saigon, l'articolo menziona naturalmente l'attentato dinamitardo comunista volto contro il Metropole Hotel, la terza più grande sede degli alloggi americani nella capitale sudvietnamita, e in seguito al quale i guerriglieri verranno sempre più definiti come criminali; gli attentati infatti proseguiranno ancora nel corso delle settimane successive, come riporta il numero del 24 dicembre. Una parte importante dell'articolo è dedicata al rilascio di due soldati americani tenuti prigionieri dai Vietcong per almeno due anni. Lo scopo dei Vietcong era quello di ottenere ampi benefici dai movimenti americani contrari alla guerra e infatti condussero i 2 prigionieri a Phnom Penh, capitale della Cambogia, dove si tenne una conferenza stampa nel corso della quale i due soldati americani si dimostrarono contrari alla guerra e solidali invece con le posizioni dei comunisti.

Essi dichiararono di non aver subito torture né fisiche né psicologiche, ma di essere stati sempre trattati col massimo rispetto. I due uomini erano stati catturati quando il loro campo base era stato distrutto dai Vietcong e avevano dichiarato di non aver mai saputo quale fosse stato il destino dei loro compagni anch'essi catturati. Però, un altro prigioniero aveva dichiarato di essere stato aiutato a scappare proprio da uno dei due soldati in quanto erano tenuti imprigionati nello stesso campo; un'altra dato che stupisce il governo americano e l'opinione pubblica consiste nel fatto che nessuno dei due soldati si dimostrava ansioso di lasciare la Cambogia, e secondo il Time ciò poteva essere dovuto al fatto che i Vietcong non erano sicuri di quello che i due avrebbero raccontato una volta giunti in patria, per cui volevano tenerli sotto controllo più a lungo. Le ultime tre edizioni del Time di quest'anno così importante contengono articoli relativi a resoconti sulle battaglie in corso sul territorio e alla pausa natalizia nei combattimenti chiesta in primis dai Vietcong. Questa richiesta non convinceva gli Stati Uniti perché i Vietcong non festeggiavano il Natale, ma quando divenne chiaro che la guerriglia avrebbe rispettato la pausa, allora gli USA si convinsero ad accettare la proposta; tuttavia, nella settimana precedente la pausa i bombardamenti furono intensificati su tutto il territorio.