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Composta in gran parte di feudatari, vassalli e cavalieri, gente abituata alla guerra, provvista di viveri e sussidiata dal papa e da tutta la cristianità: vi erano Goffredo di Buglione, conte della bassa Lorena, col fratello Baldovino; Raimondo, conte di, Tolosa, Ugo di Vermandois, fratello del re di Francia, Roberto di Normandia, figlio del re d'Inghilterra, i normanni Boemondo di Taranto, figlio di Roberto il Guiscardo, e il nipote Tancredi, il vescovo Ademaro di Puy, legato pontificio, e molti altri Francesi, Inglesi, Normanni, Italiani; pochi i Tedeschi, poiché l'Impero si trovava allora in piena lotta col Papato. Mancando quindi il capo naturale, l'imperatore, la spedizione non ebbe quel coordinamento di forze e di intenti che sarebbe stato così necessario : ciascuno dei grandi feudatari agiva da se, conduceva seco i suoi e secondava gli altri solo quando gli pareva conveniente. I Crociati, per vie diverse, chi per terra, chi per mare, si concentrarono a Costantinopoli, e di là passarono in Asia Minore; quanti fossero non si sa: probabilmente poche decine di migliaia tra fanti e cavalieri.
Per quanto l'imperatore d'Oriente Alessio I Comneno (1081-1118) avesse invocato l'aiuto dell'Occidente e si fosse messo in rapporti con lo stesso pontefice Urbano II, la Crociata non ebbe affatto l'aspetto di un'impresa militare in aiuto dei Bizantini. I Crociati, che partivano al grido di "Dio lo vuole!", sapevano solamente di rappresentare i diritti della cristianità contro gl'infedeli, e se erano risoluti a conquistare la Terra Santa, non pensavano certo di doverla poi restituire all'imperatore d'Oriente, che, secoli addietro, non aveva saputo difenderla dall'invasione musulmana.
Perciò i Bizantini videro con una certa diffidenza queste turbe di Franchi (così chiamavano i Crociati) rovesciarsi sulla Tracia per passare il Bosforo e conquistare terre, che un tempo erano state soggette a Bisanzio e sulle quali l'Impero intendeva di far valere i propri diritti nel caso di una riconquista. L'imperatore Alessio Comneno, concedendo le navi per il passaggio, pretese dai Franchi il giuramento di vassallaggio, alla maniera d'Occidente, per tutte le conquiste future. Tra Bizantini e Crociati nacque allora una rivalità, che per poco non scoppiò poi in una guerra quando, presa dopo lungo assedio Nicea (1097), i Crociati si videro dai Greci interdetta l'entrata nella città, su cui i legati imperiali avevano fatto innalzare le insegne di Bisanzio.
Calmate con doni le proteste, l'imperatore Alessio lasciò ormai che i Crociati riprendessero da soli l'avanzata. Questi infatti, addentratisi nel Sultanato d'Iconio, a Dorilea sconfissero i Turchi in battaglia campale, traversarono il Tauro ed entrarono nella Siria, mentre Baldovino, fratello di Goffredo, staccatosi dal grosso dell'esercito, espugnava la lontana città di Edessa, facendone una contea per se. Antiochia, presa dai Crociati, divenne un principato di Boemondo di Taranto, mentre Raimondo di Tolosa, avviatosi a conquistare la zona costiera, poneva le basi della futura contea di Tripoli di Soria. Mal-grado le opposizioni dei Bizantini, che non potevano rassegnarsi all'idea di lasciare nelle mani dei Franchi città così importanti e specialmente Antiochia, i Crociati, ridotti ormai di numero, proseguirono la marcia verso Gerusalemme. La città, assediata per parecchi mesi, nel luglio del 1099, dopo un furioso assalto, cadde nelle mani dei Crociati. Goffredo di Buglione, a cui fu offerto il titolo di re di Gerusalemme, volle per modestia esser chiamato solamente difensore del Santo Sepolcro, e tale egli rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1100, mentre i suoi successori ebbero il titolo di re.
La prima Crociata si concludeva così con la formazione di diversi Stati Crociati, di cui i più importanti erano il Regno di Gerusalemme, il Principato di Antiochia, la Contea di Tripoli, la Contea di Edessa; essi furono subito ordinati secondo il sistema feudale, come appare dalle « Assise di Gerusalemme », il vecchio codice delle leggi crociate. Fu questo il maggior tentativo fatto dagli occidentali per trapiantare in Oriente i loro metodi di vita politica e sociale; esso però riuscì solamente a scavare un abisso sempre più profondo fra i conquistatori, baroni e cavalieri nella maggior parte, e le popolazioni conquistate, incapaci di comprendere e di vivere la vita feudale dell'Occidente. Perciò i Crociati rimasero piuttosto accampati che stabiliti nella Terra Santa.
Questi Stati ebbero dunque una vita effimera, tanto più che per-dettero assai presto i loro difensori, perché in gran parte i Crociati, a impresa finita, se ne tornarono a casa. Per difendere Gerusalemme con milizie stabili, si pensò allora alla creazione degli Ordini cavallereschi, specie di Ordini religiosi, in cui i monaci-cavalieri, oltre ai voti monastici di castità, povertà e ubbidienza, ne giuravano un quarto,
quello cioè di difendere i Luoghi Santi contro gl'infedeli. Sorsero così i Cavalieri di S. Giovanni (detti anche Ospitalieri), i Teutonici e i Templari : essi fondarono i loro monasteri-caserme a Gerusalemme e nei principali centri degli Stati Crociati, ebbero un rigido ordinamento sotto le dipendenze del Gran Maestro che li reggeva come abate e come capo militare, possedettero molti beni, costruirono ospizi per i pellegrini, e si prodigarono generosamente nelle lotte contro i Turchi. Ma i nuovi difensori, per quanto valorosi, erano troppo pochi, e non poterono impedire che gli Stati cristiani della Palestina vivessero in ansia continua di fronte ad un nemico, che era solamente respinto, ma non distrutto
Le città italiane e le crociate
Le repubbliche marinare italiane videro subito nelle Crociate una occasione bellissima per sviluppare il loro commercio nel Levante, e per tentare di prendersi il monopolio delle ricche spezierie. Mandarono adunque navi e uomini; cercarono però di trarre dalle Crociate i più larghi vantaggi, vendendo a caro prezzo il loro aiuto.
All'appello di papa Urbano II i Genovesi armarono dodici navi, con le quali portarono aiuto a Boemondo di Taranto nella conquista di Antiochia, ottenendone in compenso un trattato assai favorevole, per il quale essi ricevettero in possesso trenta case, una chiesa e una fonte nel cuore della città, con pieno diritto di trafficare sotto la protezione del principe e con l'esenzione assoluta da tutte le tasse, sia in Antiochia che nel suo territorio (1o98). Qualche anno dopo si procurarono analoghi privilegi nel Regno di Gerusalemme, ed ebbero colonie a Giaffa, a San Giovanni d'Acri e nella stessa capitale.
I Pisani si mossero un po' più tardi, quando seppero che i Crociati assediavano Gerusalemme, e sebbene con le loro 120 navi arrivassero a impresa compiuta, poterono largamente fruire della vittoria, ottenendo che il loro vescovo Daiberto divenisse patriarca di Gerusalemme e avesse in feudo un quartiere nel porto di Giaffa; più tardi cercarono di stabilirsi anch'essi ad Antiochia, a Tripoli, a Laodicea, ottenendo privilegi ed esenzioni.
-Venezia
I Veneziani erano troppo interessati nel commercio col Levante per non seguire subito l'esempio delle altre repubbliche marinare italiane. Nel 1100 con 200 navi vennero nelle acque della Palestina, carpirono laute concessioni, si stanziarono ad Antiochia, Ascalona, Gerusalemme, Acri; più tardi presero Tiro, e ottennero il privilegio di poter fondare una loro colonia in ciascuna delle città, che i Crociati avessero eventualmente conquistate.
Queste colonie veneziane, genovesi e pisane che si vennero formando in Levante dopo le Crociate, non avevano lo scopo di sfollare la madre-patria, né di popolare regioni disabitate, né di difendere territori di conquista; esse erano semplici basi per il commercio, e si compone-vano generalmente, non di una intera città, ma di un solo quartiere, racchiudendo alcune case, un fondaco per le merci, un luogo di raduno, una chiesa, un mulino, una fonte, un bagno, qualche volta alcuni appezzamenti di terreno coltivabile fuori della città, e, se si trattava di un centro di mare, qualche banchina o edificio al porto. E lì, entro la breve cerchia di questa concessione, si parlava il dialetto della madre-patria, si viveva nelle tradizioni dello Stato di origine, si trafficava coi metodi italiani, mentre col prosperare della colonia aumentavano le famiglie residenti, e si sentiva il bisogno di un magistrato locale, detto balivo, più spesso console, che, mandato dalla madrepatria, rappresentava di fronte al governo locale i coloni e ne tutelava i privilegi.
Appena fondata e ordinata, la colonia cominciava a funzionare, attraendo a sé i prodotti dell'Oriente, quelli stessi cioè che avevano fatta la ricchezza dei Fenici, dei Greci, dei Bizantini e degli Arabi. I profumi, come il muschio, la canfora, l'incenso; le spezie, come il pepe, la noce moscata, il garofano; le sete della Cina e del Giappone, le pietre preziose, le materie coloranti, le pelli, gli avori dell'India si ammassavano nei fondachi italiani, donde le navi portavano tutto in Europa.
Naturalmente tale traffico con l'andar del tempo non potè limitarsi ai soli porti cristiani, da Alessandretta a Giaffa: troppo connessi erano questi centri con quelli importantissimi dell'Egitto e degli altri paesi arabo-turchi, ai quali affluivano pure i prodotti dell'Oriente. I mercanti italiani, veneziani soprattutto, iniziarono un buon giro d'affari coi Turchi, impiantandosi ad Alessandria, che era sempre un gran porto per il commercio d'Oriente; di lì passarono al Cairo, a Damietta e nei centri più vitali, dove a poco a poco, tra l'alternarsi delle vicende liete e tristi della politica, riuscirono ad ottenere fondachi, quartieri e privilegi sul tipo di quelli che avevano avuto in Siria e in Palestina.