La pagina più nera delle Olimpiadi moderne è sicuramente quella
scritta il 5 settembre 1972 a Monaco di Baviera da un commando di
terroristi palestinesi. Durante i giochi, un’incursione nel villaggio
olimpico si chiuse con un bagno di sangue: 17 morti, tra i quali 11
atleti israeliani.
Il 15 luglio 1972, due alti esponenti di Al Fatah (Mohammed Daoud Oudeh,
conosciuto come “Abu Daoud” e Salah Khalaf “Abu Iyad”) si incontrarono a
Roma con Abu Mohammed, un dirigente di “Settembre Nero”.
Settembre Nero era un’organizzazione clandestina di lotta armata
palestinese creatasi nel 1970 dopo che l’esercito di re Hussein massacrò
o espulse (in settembre appunto) dalla Giordania, migliaia di Fedayyìn
palestinesi, in risposta al tentativo degli stessi di prendere il
controllo del suo regno con un colpo di stato.
I tre uomini discussero dell’azione compiuta dalla stessa organizzazione
l’8 maggio di quell’anno: il dirottamento di un aereo appartenente alla
compagnia aerea belga Sabena in volo da Vienna a Tel Aviv, conclusosi
con l’uccisione o la cattura dei dirottatori e la liberazione di tutti
gli ostaggi. Il morale era basso e per dare nuovo slancio alla causa
palestinese c’era bisogno di un’azione eclatante che dimostrasse che
anche Israele era vulnerabile.
Il pretesto fu fornito dalla notizia, riportata da un giornale arabo,
secondo cui il Comitato Olimpico Internazionale non aveva neppure
risposto alla richiesta avanzata dalla Federazione Giovanile della
Palestina di poter partecipare con una propria delegazione ai giochi
olimpici estivi di Monaco. Decisero quindi di partecipare ai giochi “a
modo loro”. Abu Iyad si occupò di reclutare gli uomini che avrebbero dovuto compiere
l’operazione. Come membri del commando furono scelti: Luttif Afif, capo
del gruppo e negoziatore, conosciuto col soprannome di “Issa”, laureato
a Berlino, aveva lavorato come ingegnere alla costruzione del villaggio
olimpico di Monaco; Yusuf Nazzal, conosciuto come “Tony”, aveva
lavorato come cuoco al villaggio durante la costruzione del medesimo;
Afif Ahmed Hamid “Paolo”; Khalid Jawad “Salah”, Ahmed Chic Thaa “Abu
Halla”, Mohammed Safady “Badran”, Adnan al-Gashey “Denawi”, Jamal
al-Gashey “Samir”.
A parte Issa e Tony, gli altri furono reclutati nel campo profughi di
Chatila ed inviati poi in Libia per un periodo di addestramento. Nessuno
di loro era al corrente della missione che avrebbe portato a termine.
Arrivarono in Germania poco dopo l’apertura delle Olimpiadi utilizzando
passaporti falsi e viaggiando a coppie; si radunarono solo la sera
stessa dell’azione e solo in quell’occasione ne appresero i dettagli.
Non è chiaro il ruolo di Yasser Arafat in questa vicenda. Abu Daoud
sostiene che Arafat era stato informato del piano e che, benché egli non
abbia preso parte alla sua definizione, dette il suo assenso. Lo stesso
Abu Daoud menziona il ruolo di Abu Mazen, che si preoccupò di reperire i
fondi per l’operazione nonostante non fosse al corrente dello scopo cui
sarebbero serviti.
Abu Daoud si recò a Monaco il 17 luglio per effettuare una prima
ricognizione al villaggio olimpico, a quell’epoca ancora in costruzione e
vi ritornò poi il 7 agosto, accompagnato da Tony.
Il 24 agosto Abu Iyad prese un volo da Algeri a Francoforte, insieme a
due accompagnatori, uno dei quali era una donna. Avevano con loro cinque
valigie in cui erano nascoste le armi necessarie all’azione. Alla
dogana una delle valigie fu aperta, ma conteneva apparentemente solo
biancheria intima femminile e le proteste della donna fecero sì che i
doganieri richiudessero subito la valigia e lasciassero andare il
gruppo. Abu Daoud e il gruppo di Abu Iyad si incontrarono in un hotel a
Francoforte e trasferirono il contenuto delle valigie (6 Kalashnikov, 2
fucili mitragliatori e diversi caricatori) in due borsoni. Lo stesso
giorno Abu Daoud trasportò quei borsoni sino a Monaco via treno,
mettendoli in un armadietto a pagamento della stazione centrale.
Fece anche in tempo a tornare al villaggio olimpico accompagnato da una
donna siriana che conosceva bene il tedesco. Al cancello di entrata del
villaggio, Abu Daoud si finse un brasiliano e la donna chiese alla
guardia di lasciarlo entrare per dieci minuti, poiché aveva riconosciuto
in mezzo alla delegazione brasiliana un suo vecchio amico. Non
sospettando nulla, la guardia lasciò entrare Abu Daoud che così poté
dare un’occhiata alla zona dove risiedevano la delegazione del Sudan e
dell’Arabia Saudita. Poiché gli appartamenti erano pressoché tutti
uguali, gli fu possibile avere un’idea della planimetria dell’obiettivo.
Due giorni dopo, Daoud tornò al Villaggio accompagnato da Tony e da Issa
e riuscì ancora una volta ad entrare. Si recarono al n. 31 di
Connollystrasse, sede della delegazione israeliana, dove una hostess
stava uscendo dall’edificio. Attaccarono discorso con lei, spiegandole
che erano brasiliani e che avrebbero voluto visitare gli alloggiamenti
di Israele. La donna li fece entrare e mostrò loro uno degli
appartamenti che si trovavano al pianterreno. Poterono così annotarsi
tutti i dettagli e vennero a sapere che gli altri appartamenti erano
identici e che in ognuno di essi alloggiavano 6 atleti. Alla fine
salutarono la ragazza che regalò loro un po’ di bandierine israeliane.
La sera del 4 settembre, in una stanza dell’hotel Eden Wolff, situato
nei pressi della stazione di Monaco, Abu Daoud mise in otto borse
sportive: le armi e le munizioni, un kit di pronto soccorso, pezzi di
corda per legare gli ostaggi, calze di nylon da mettere in testa, cibo e
acqua e compresse di Predulin, un’anfetamina che permetteva di rimanere
svegli. Alle 21 i terroristi si radunarono al ristorante della stazione
centrale per le istruzioni finali: le armi dovevano essere usate solo
se non se ne poteva fare a meno e gli ostaggi dovevano rimanere vivi per
poterli utilizzare per futuri scambi. Alla fine Issa sentenziò: “Da
questo momento in poi consideratevi morti. Come se foste stati uccisi in
azione per la causa palestinese”. A quel punto, Abu Daoud procedette a
ritirare i loro passaporti, tutti indossarono tute sportive con il nome
di un paese arabo e verso le 3:30 andarono al villaggio olimpico a bordo
di alcuni taxi.
Verso le 4 del mattino del 5 settembre i terroristi si avvicinano alla
recinzione del Villaggio Olimpico di Monaco. Incredibilmente vengono
aiutati a scavalcare la recinzione da alcuni atleti americani che,
credendoli colleghi di un’altra nazione, pensano di trovarsi di fronte
un gruppo che era andato di nascosto in qualche locale notturno di
Monaco.
Si dirigono subito verso le palazzine di Israele dove sono alloggiati
tra gli altri: David Berger, 28 anni, pesista; Ze’ev Friedman, 28 anni,
pesista; Yossef Gutfreund, 40 anni, arbitro di lotta greco-romana;
Eliezer Halfin, 24 anni, lottatore; Yossef Romano, 31 anni, pesista;
Amitzur Shapira, 40 anni, allenatore di atletica leggera; Kehat Shorr,
53 anni, allenatore di tiro a segno; Mark Slavin, 18 anni, lottatore;
André Spitzer, 27 anni, allenatore di scherma; Yakov Springer, 51 anni,
giudice di sollevamento pesi; Moshe Weinberg, 33 anni, allenatore di
lotta greco-romana. Saranno loro le undici vittime.
Alle 4:30, il commando tenta di aprire la porta dell’appartamento
situato al piano terra, ma Yossef Gutfreund sente alcuni rumori: apre la
porta, e appena nota i kalashnikov spianati lancia un grido di allarme.
I terroristi vogliono entrare, ma Gutfreund con la sua enorme massa
fisica (132 kg) riesce a trattenerli per una decina di secondi, il tempo
necessario a Tuvia Sokolovski, allenatore della squadra di sollevamento
pesi, per fuggire dalla finestra. I terroristi irrompono
nell’appartamento e rastrellano le stanze. Velocemente, vengono presi
prigionieri: Shapira, Shorr, Springer e Spitzer. Quando Issa entra nella
sua stanza, Weinberg afferra un coltello da cucina e si avventa su di
lui, ma manca il colpo. Un altro membro del commando terrorista, vedendo
la scena, apre il fuoco e ferisce Weinberg, trapassandogli la guancia
da parte a parte. A questo punto, il gruppo si divide: due fedayyin
rimangono a guardia dei prigionieri, mentre Tony ed altri cinque si
recano nell’appartamento adiacente, assieme a Weinberg, attraversando un
breve tratto di Connollystrasse.
Gli occupanti del secondo
appartamento, svegliati dal colpo esploso, stanno accorrendo per
scoprire cosa sia accaduto. In questo modo, il commando riesce a
prendere prigionieri Berger, Romano, Slavin, Friedman, Halfin e un altro
pesista: Gad Tsobari. Mentre questo gruppo viene spostato per riunirlo
agli altri prigionieri, Tsobari decide di rischiare il tutto per tutto
ed imbocca di corsa la porta che comunica col garage sotterraneo,
fuggendo a zig zag e riparandosi dietro i piloni di sostegno. Un membro
del commando spara diversi colpi in direzione di Tsobari, che però
riesce a fuggire. Approfittando della confusione, Weinberg, benché
ferito, atterra Badran con un pugno, facendogli saltare diversi denti e
fratturandogli la mascella, poi si impossessa del suo fucile, ma viene
ucciso prima che riesca a fare fuoco.
Quando il commando si riunisce di nuovo nella prima palazzina, Romano
prova a togliere di mano il fucile ad un terrorista. Viene ucciso
all’istante da una raffica di mitra ed il suo corpo viene posto di
fronte agli altri ostaggi legati, come monito a non tentare colpi di
testa. Il corpo di Weinberg, invece, viene gettato in strada come segno
inequivocabile delle intenzioni dei terroristi.
Le trattative
Alle 5:08 due fogli di carta furono gettati dal balcone del primo piano e
raccolti dalla polizia tedesca che era ormai giunta sul posto.
Contenevano le richieste di Settembre Nero in cambio della liberazione
degli ostaggi: il rilascio di 234 detenuti nelle carceri israeliane e
dei terroristi comunisti tedeschi Andreas Baader e Ulrike Meinhof.
L’ordine avrebbe dovuto essere eseguito entro le 9:00 del mattino. In
caso contrario, sarebbe stato ucciso un ostaggio per ogni ora di
ritardo.
Il Cancelliere Federale Willy Brandt contattò immediatamente il Primo
Ministro Israeliano, Golda Meir, per rendere note le richieste dei
terroristi e cercare una soluzione al caso. La posizione del Governo di
Israele fu fermissima: nessuna concessione al ricatto dei terroristi.
Tuttavia la Meir si offrì di inviare in Germania un’unità di Forze
Speciali per tentare un blitz. I tedeschi declinarono l’offerta e
cercarono di prendere tempo con i terroristi.
L’ultimatum fu spostato alle 15:00 e successivamente alle 17:00. I
terroristi sapevano bene che in tal modo l’audience televisiva sarebbe
aumentata, fornendo loro un formidabile strumento di propaganda. Verso
le ore 16:00 fu deciso di fare un tentativo di liberazione: un nucleo di
tredici agenti di Polizia si sarebbe introdotto nell’appartamento
utilizzando i condotti di ventilazione posti sul tetto dell’edificio. Ma
l’intera operazione fu ripresa in diretta dalle telecamere e questo
diede modo ai terroristi, che all’interno dell’appartamento stavano
guardando la TV, di sventare la minaccia. Appena fu chiaro che era stato
scoperto, la polizia tedesca annullò l’attacco.
Poco prima delle 17:00 i terroristi avanzarono una nuova richiesta:
volevano essere trasferiti, assieme agli ostaggi, al Cairo e da lì
proseguire le trattative. Nell’attesa della risposta, Issa pose un
estremo ultimatum per le ore 21:00, rinnovando la minaccia
dell’uccisione di un ostaggio per ciascuna ora di ritardo.
All'aeroporto
Il Cancelliere federale Willy Brandt contattò il presidente egiziano
Anwar al-Sadat per ottenere il permesso di trasferire al Cairo il
gruppo, ma Sadat negò l’assenso. Si decise allora di intervenire
comunque: i terroristi e gli ostaggi avrebbero raggiunto un piazzale del
villaggio olimpico e da lì sarebbero saliti su due elicotteri per
dirigersi all’aeroporto di Fürstenfeldbruck. Lì avrebbero trovato un
Boeing 727 della Lufthansa che avrebbe dovuto portarli (come fu promesso
ad Issa) al Cairo. Ma sulla pista sarebbe scattata la trappola.
Alle 22:10 il gruppo lasciò l’edificio con un minibus e subito dopo
partì sui due elicotteri in direzione dell’aeroporto. Nel primo presero
posto Shapira, Spitzer, Slavin, Shorr e Gutfreund, insieme a Issa e ad
altri tre terroristi. Nel secondo entrarono Berger, Friedman, Halfin e
Springer, accompagnati da altri quattro terroristi. Fu solo a questo
punto che le autorità tedesche si accorsero che il commando era formato
da otto persone e non cinque, come avevano creduto sino a quel momento,
ma nessuno si preoccupò di avvertire il capo operazioni all’aeroporto.
All’interno dell’aereo pronto sulla pista era stata posizionata una
squadra della Polizia travestita con uniformi di volo della Lufthansa.
All’esterno, intorno alla pista e sulla torre di controllo, erano
posizionati cinque agenti (uno per ogni supposto terrorista) con fucili
di precisione che avrebbero dovuto uccidere i palestinesi. Come
rinforzi, il piano prevedeva l’utilizzo di un’ulteriore squadra di
Polizia che sarebbe giunta sul posto a bordo di un altro elicottero ed
altre squadre a bordo di veicoli blindati.
Il volo dal villaggio olimpico sino all’aeroporto durò una ventina di
minuti. Poco prima che gli elicotteri con gli ostaggi atterrassero, la
squadra di Polizia posizionata all’interno dell’aereo subì un crollo
psicologico. Alcuni agenti notarono che uno scontro a fuoco all’interno
di un aereo pieno di carburante e privo di vie d’uscita avrebbe
rappresentato la morte sicura. In più, le false uniformi della Lufthansa
erano incomplete e male assemblate. Il comandante della squadra decise
di sottoporre a votazione la permanenza all’interno del velivolo e tutti
i membri della squadra votarono per l’annullamento della missione. I
poliziotti scescero dall’aereo senza neppure comunicarlo ai superiori
perché non erano stati dotati di ricetrasmittenti.
A questo punto, le speranze erano riposte tutte nei tiratori. Essi erano
equipaggiati con normali fucili Heckler & Koch G3, ma nessuno di
loro disponeva di attrezzature essenziali come elmetti, giubbotti
antiproiettile, visori notturni e ricetrasmittenti. Inoltre, uno degli
agenti era posizionato sulla linea di tiro degli altri; nessuno sapeva
dove fossero posizionati i colleghi e nessuno di loro aveva ricevuto un
addestramento specifico come tiratore di precisione. A quell’epoca la
Germania non disponeva infatti di squadre speciali antiterrorismo e
l’unico motivo per cui gli agenti erano stati selezionati consisteva nel
fatto che si dilettassero nel tiro a segno.
Verso le 22:35 gli elicotteri con gli ostaggi atterrarono all’aeroporto.
Immediatamente scesero i quattro piloti e sei terroristi. Issa e Tony
si recarono immediatamente a ispezionare l’aereo: non appena si
accorsero che era vuoto, capirono che si trattava di una trappola e
tornarono di corsa agli elicotteri. Fu a quel punto che la polizia aprì
il fuoco. Erano all’incirca le 23:00. Le luci che erano state
posizionate per illuminare a giorno l’area si accesero e gli agenti
cominciarono a sparare. Immediatamente furono colpiti a morte Paolo e
Abu Halla. I terroristi superstiti presero di mira i fari,
posizionandosi dietro e sotto gli elicotteri. Seguì un fitto scambio di
colpi per circa un’ora, uno dei quali uccise l’agente Anton
Fliegerbauer.
L’elicottero che trasportava la squadra dei rinforzi atterrò, per cause
ignote, sull’altro lato della pista, a più di un chilometro di distanza
dal luogo della sparatoria e gli agenti non poterono entrare in azione.
Uno dei veicoli corazzati, a causa di un errore, si diresse verso
l’aeroporto internazionale di Riem, situato dall’altra parte della
città. Quando il conducente apprese che il teatro dell’azione era a
Fürstenfeldbruck, frenò di colpo, causando un massiccio tamponamento a
catena. Gli altri veicoli corazzati giunsero all’aeroporto poco prima
della mezzanotte e si decise di farli subito entrare in azione, quando
invece sarebbe stato più prudente fare avanzare a piedi una squadra di
agenti sfruttando l’oscurità. Infatti, vistisi perduti, i terroristi
decisero di uccidere gli ostaggi.
Alle 00:04 uno di loro, probabilmente
Issa, svuotò un intero caricatore all’interno di un elicottero e, subito
dopo, lanciò una bomba a mano nel velivolo che fu avvolto dalle fiamme.
Issa tentò di allontanarsi dall’elicottero assieme a Salah, sparando
all’impazzata in direzione degli agenti, ma i due furono freddati. Il
poliziotto che si trovava nella linea di tiro dei colleghi riuscì a
sparare in tutta l’azione un solo colpo, ma, in compenso, gli altri,
avendolo scambiato per un terrorista, spararono contro di lui ferendolo.
La dinamica della morte degli altri ostaggi non è accertata, ma, a
quanto pare, Denawi, subito dopo l’esplosione del primo elicottero,
sparò all’interno del secondo velivolo uccidendo i restanti israeliani.
Rimanevano quattro terroristi: Samir e Badran si finsero morti e furono
catturati dalla Polizia. Denawi fu catturato completamente illeso. Tony
fu localizzato da una pattuglia con l’ausilio di cani poliziotto mentre
si nascondeva nei pressi di un vagone ferroviario situato lì vicino e fu
ucciso dopo un breve conflitto a fuoco. Alle ore 1:30 del 6 settembre
1972 era tutto finito.
Il giorno dopo
Mentre ancora la sparatoria era in corso, fu diffuso un comunicato che
annunciava la liberazione di tutti gli ostaggi e l’uccisione dei
terroristi. Per motivi di fuso orario, i giornali israeliani andarono in
stampa con questa notizia. La notizia ufficiale fu invece diramata dal
conduttore dei programmi sportivi della rete televisiva americana ABC,
Jim McKay, con queste parole:
“Abbiamo appena ricevuto le ultime notizie. Quando ero bambino, mio padre mi diceva che raramente le nostre speranze più belle e le nostre paure più grandi si avverano. Questa notte le nostre paure più grandi sono divenute realtà. Ci hanno comunicato in questo momento che gli ostaggi erano undici. Due di loro sono stati uccisi nelle loro stanze ieri mattina, gli altri nove sono stati uccisi questa notte all’aeroporto. Sono tutti morti”.
Le Olimpiadi si fermarono e fu organizzata una cerimonia di
commemorazione nello Stadio Olimpico alla presenza di 80.000 persone e
3.000 atleti. Il Comitato Olimpico Internazionale propose di mettere le
bandiere delle Nazioni partecipanti a mezz’asta. L’invito fu accolto da
tutti, fuorché dagli Stati arabi (Giordania esclusa) e dall’Unione
Sovietica.
I corpi dei terroristi uccisi furono trasportati in Libia dove
ricevettero gli onori militari. I tre terroristi superstiti furono
curati e incarcerati in Germania. Tuttavia, il 29 ottobre, un altro
commando dirottò verso Zagabria un volo della Lufthansa partito da
Beirut e diretto ad Ankara, domandando il rilascio dei responsabili
della strage. Il governo tedesco acconsentì allo scambio e i tre
terroristi furono accompagnati in Libia dove furono accolti con grandi
onori e indissero una conferenza stampa trasmessa dalle televisioni di
tutto il mondo. Successivamente si diffuse la voce che il dirottamento
fosse stato organizzato dallo stesso Governo tedesco allo scopo di
liberarsi dei tre superstiti e, probabilmente, per tenere la Germania al
riparo da eventuali azioni di ritorsioni terroristiche.
Pochi mesi dopo, il Governo di Israele varò una serie di operazioni
condotte da gruppi militari e paramilitari volte all’eliminazione fisica
di alcuni alti esponenti palestinesi sospettati di essere coinvolti a
vario titolo nel massacro di Monaco.
Stando alle notizie attuali, Denawi è morto. Alcune fonti sostengono che
sia stato ucciso da agenti del Mossad, altre invece ritengono sia stato
colpito da un attacco cardiaco.
Sulla sorte di Badran regna l’incertezza. C’è chi ritiene che anche lui
sia stato ucciso da agenti del Mossad. Tuttavia, nel 2005 un alto
esponente dell’OLP, Tawfik Tirawi, rivelò ad un giornalista l’esistenza
in vita del terrorista. Samir si ritiene che viva in qualche Nazione del Nord Africa e che sia
sfuggito a diversi attentati.