-Armand-Jean du Plessis de Richelieu (parte prima)
Nato nel 1585, era figlio di François du Plessis, signore di Richelieu, militare e cortigiano che prestò servizio come Grand prévôt de France (Gran preposto di Francia, era a capo della polizia e delle truppe di corte, e faceva parte degli alti ufficiali della Casa Reale) e di Susanna de La Porte, figlia di un noto giurista.
Quarto di cinque figli, era destinato ad una carriera militare ma si trovò ad affrontare invece una carriera ecclesiastica, nel 1605, al posto del fratello Alfonso che l'aveva rifiutata.
Richelieu era rimasto orfano a 5 anni, quando il padre morendo lasciò la vedova con cinque figli in tenerissima età in una situazione economica molto difficile. Il futuro potente uomo politico, era il terzo maschio. Tuttavia anche in quelle condizioni disastrose in cui era piombata la sua famiglia, riuscì a studiare nel prestigioso collegio di Navarra. Questo perché suo padre era stato al seguito di Enrico III prima, di Enrico IV poi, e come militare si era guadagnato un certo prestigio, quindi il giovane con il sovrano ancora in vita, dopo il collegio avrebbe avuto spalancate le porte della carriera militare. Tuttavia, anche se dovette rinunciare a quest'ultima, Enrico IV lo favorì ugualmente nella carriera ecclesiastica.
La famiglia Richelieu aveva ereditato un beneficio: ad uno dei figli andava il piccolo e misero vescovado di Luçon. E proprio per questo motivo, uno di essi, il secondogenito Alphonse, fin dalla giovane età aveva intrapreso la carriera ecclesiastica in vista della futura posizione. Colpito da una grave malattia e reso infermo, il fratello Armand che aveva appena compiuti i 21 anni con già addosso la divisa e appena iniziata la carriera militare, l'abbandonò, e nonostante la sua giovane età, con una dispensa del Papa e con il favore di Enrico IV, subentrò al fratello. Per assolvere il suo compito, in breve tempo fu nominato prete, curato e infine vescovo di Lucon nel 1606 e consacrato nel 1607. Intelligente e con indubbie capacità si distinse subito nel suo piccolo vescovado, riorganizzando le finanze, lottando contro la corruzione, contro l'indisciplina del clero, e contro i protestanti ugonotti. Questi, nonostante avessero subìto la famosa strage di San Bartolomeo, e ottenuto poi le successive garanzie con l'editto di Nantes, dopo l'assassinio di Enrico IV, promulgatore di quell'editto, erano tornati a preoccupare, mentre alla reggenza era la debole vedova Maria de' Medici. Infatti gli ugonotti stavano diffondendosi in diverse province, con l'adesione perfino di membri dell'alta borghesia e dell'aristocrazia, mentre prima erano principalmente gruppi di operai, mercanti, piccoli proprietari.
Ricordiamo qui, che Enrico IV era stato capo indiscusso degli Ugonotti, poi si era convertito al cattolicesimo, e aveva con un atto di pacificazione promulgato nel 1598 l'editto di Nantes (con cui assicurava libertà di culto). Ma proprio per questa saggia tolleranza, un fanatico cattolico lo assassinò nel 1610, lasciando vedova Maria de' Medici, e la corona al piccolo Luigi XIII di 9 anni.
Quattro anni dopo, la reggente, con l'anarchia dentro e fuori le porte del Palazzo, chiamò accanto a sé come suo consigliere il 29enne dinamico vescovo di Lucon, Richelieu. E fu lui alla convocazione degli Stati Generali a rappresentare il Clero di Francia. Subito dopo fu nominato ministro e segretario di stato alla Guerra e agli Affari esteri.
L'indirizzo di politica interna ed estera adottato da Enrico IV di Francia era così adeguata alle esigenze della sua situazione e così conforme ai desideri ed ai bisogni del suo popolo, che se avesse proseguito la sua opera, i suoi successori avrebbero dovuto mettersi sulla stessa via da lui segnata. Tuttavia l'assassinio del re mutò radicalmente la situazione.
Maria dei Medici, la regina-vedova, che assunse la reggenza in nome di suo figlio Luigi XIII, di appena nove anni, dovè affrontare il compito, per lei straniera doppiamente difficile, di governare lo Stato nell'imminenza minacciosa di una grande guerra fra gli ostacoli creatile dalla manifesta malevolenza dei membri della famiglia reale e dalle velleità, raffrenate ma non ancor spente, di indipendenza degli alti funzionari e dignitari. La reggente non era dotata di qualità fuori del comune, ma non era priva di buon senso e di un certo acume di giudizio e possedeva una non superficiale cultura. Essa giudicò rettamente che il suo primo dovere era quello di salvaguardare a suo figlio l'integrità dei diritti e poteri spettanti alla corona, e che quindi, data l'insubordinazione e indisciplinatezza dei grandi all'interno, le era necessario evitare ogni complicazione internazionale. Con questi intendimenti si studiò di arrivare ad una riconciliazione con la Spagna, cosa del resto avvantaggiata dalla sua fervente fede cattolica.
Un errore invece fu la sua cieca predilezione per due fiorentini, i soli che le avessero dimostrato devozione tra tutti gli stranieri presenti alla corte di Parigi, la sua prima cameriera Leonora Galigai e il patrizio Concino Concini. Essa unì quest'ultimo in matrimonio con la Leonora, e benchè fosse uomo privo di qualsiasi merito e non avesse mai visto la guerra, lo elevò al grado di maresciallo e gli conferì il titolo di marchese d'Ancre. Il favorito infatti era troppo debole per tener testa agli irrequiti grandi nobili del regno, i quali si impadronirono a gara delle città e delle province e svaligiarono sfrontatamente il tesoro pubblico. Errore invece non lo fece nel chiamare al suo fianco il giovane vescovo.
In questo stato di cose Maria si sentì tanto più spinta a cercare appoggio nella monarchia assoluta spagnola. L'anno dopo la morte del marito, nell'aprile 1611 essa strinse con la corte di Spagna un accordo che stabiliva in un prossimo avvenire il matrimonio di Luigi XIII con l'infanta spagnola Anna e rispettivamente le nozze del principe delle Asturie, Filippo, con la sorella maggiore di Luigi, Elisabetta. Con questo avvenimento si profilò all'orizzonte la previsione di un completo capovolgimento della situazione politica dell'occidente europeo. Mentre infatti questa si era sinora imperniata sul perpetuo ed aspro antagonismo tra Francia e Spagna, la futura alleanza dei due paesi non avrebbe potuto se non condurre all'asservimento di entrambi all'arbitrio dei monarchi alleati, esercitato nell'indirizzo del più intollerante cattolicesimo e dell'assolutismo regio.
Di qui l'opposizione dell'alta nobiltà francese ai progetti di Maria. Per fiaccare tali resistenze la reggente convocò per l'ottobre 1614 gli Stati Generali del regno. Si attendeva da essi una completa riforma degli ordinamenti dello Stato, la diminuzione delle imposte, l'abolizione della venalità degli uffici pubblici. Ma tutte queste aspettative rimasero deluse per la scissione interna dell'assemblea. Il Terzo Stato, avendo reclamato la revoca di tutti gli emolumenti di favore estorti alla corona dai grandi, venne a lite con la nobiltà che godeva di questi favori, ed avendo inoltre preteso una solenne dichiarazione che alla chiesa non spettava alcuna autorità sulla corona, si guastò anche con il clero, il quale in seguito a ciò non trovò di meglio che allearsi con i nobili. La reggente approfittò astutamente della situazione, si fece concedere separatamente da ciascuno degli stati discordi il consenso ai suoi progetti matrimoniali spagnoli, e poi chiuse improvvisamente l'assemblea (febbraio 1615).
Il generale malcontento, che aveva trovato accoglimento negli stati generali, ma non era giunto a conseguenze concrete, divampò quando la reggente nel novembre 1615 fece celebrare ai confini della Spagna il duplice matrimonio dei suoi figli. Sollevazioni scoppiarono ovunque, capitanate dai principi della famiglia reale. Maria le affrontò con fermezza. Essa fece imprigionare il principe di Condé, cattolico a differenza dei suoi antenati, ed inflisse agli altri insorti sconfitte decisive. Se non che ben presto le ostilità le vennero da parte del suo stesso figlio, Luigi XIII.
Il giovane re aveva trascorso una triste fanciullezza; egli era stato trattato dalla madre e dall'entourage di costei senza amorevolezza, anzi con durezza, sino al punto da non risparmiargli le botte. Debole di corpo e di spirito, benchè non privo di una certa disposizione per le arti meccaniche e per la matematica, il suo carattere aveva risentito gli effetti deleteri dell'educazione ricevuta; egli era divenuto codardo, diffidente, perfido e vendicativo. Non nutriva affetto per nessuno, ma sentiva il bisogno di appoggiarsi costantemente a qualcuno più forte di lui e di lasciarsi guidare. Un simile uomo di fiducia era divenuto per il re il suo falconiere Carlo di Luynes, un ambizioso ed abile intrigante, senz'altre doti di talento. Sicuro del favore del giovane monarca, appena sedicenne, Luynes concepì il disegno di conquistarsi l'assoluto predominio a corte. Egli seppe convincere Luigi che il maresciallo d'Ancre avesse insidiato alla sua vita, ed il giovane re diede ordine al suo capitano delle guardie Vitry di uccidere Ancre. Questi infatti cadde il 24 aprile 1617. Poco dopo anche la vedova dell'assassinato con insulsi pretesti venne condannata a morte per delitto d'alto tradimento e di stregoneria, e tutte le creature di Ancre furono eliminate dalla corte. La regina Maria accusata anch'essa di connivenza con Ancre, fu costretta a ritirarsi a Blois.
«Ora finalmente sono re », aveva esclamato Luigi nel ricevere la notizia della morte di Ancre. In realtà però egli da questo momento non ebbe che un nuovo padrone in Luynes. L'unica conseguenza politica dell'avvenuto mutamento fu che gli insorti deposero le armi; ma nel resto le cose continuarono in sostanza ad andare come prima. Luynes non badò che al tornaconto proprio e dei suoi parenti. Egli trovò questo tornaconto in una stretta alleanza con il potente partito clericale, e quindi la Francia perseverò nella politica nettamente cattolica e filospagnola di Maria dei Medici.
Poco dopo il malcontento ebbe una nuova esplosione. La sollevazione dell'alta nobiltà questa volta era capitanata dalla stessa regina madre, ma venne ben presto liquidata con la sconfitta di Pont de Cé, e Maria ritenne che il meglio per lei era di riconciliarsi e andar d'accordo con il figlio; e questo l'ottenne con l'abile mediazione del suo fido consigliere, il vescovo Richelieu di Lucon. Ma gli Ugonotti, che prevedevano conseguenze funeste per loro dall'indirizzo clericale dominante a corte, proseguirono nella resistenza. Specialmente i due antichi baluardi del protestantismo, le città fortificate di La Rochelle e Montauban, tennero alta la bandiera della rivolta. Sotto le mura di Montauban naufragò la fortuna di Luynes che era stato elevato al grado di conestabile di Francia. Dopo essersi visto costretto a toglier l'assedio dalla città, costui improvvisamente morì di scarlattina il 14 dicembre 1621, malviso a tutti e divenuto indifferente allo stesso re.
L'esercito regio continuò la lotta e alla fine costrinse i riformati alla pace (10 ottobre 1622), gli riconobbe la piena libertà religiosa, ma sciolse la loro organizzazione politica e militare, e li privò delle loro piazze forti, salvo La Rochelle e Montauban. Con ciò si era fatto un nuovo passo verso l'eliminazione di tutti i particolarismi politici che contrastavano all'instaurazione dell'assolutismo in Francia.
Luigi XIII aveva concluso questa pace per potere avere mano libera nella politica estera, nella quali finalmente trovò il coraggio di opporsi ai progressi degli Asburgo. E lo trovò perché -ovviamente, lui 22 enne- già sul suo animo esercitava una influenza decisiva il poderoso intelletto di Richelieu, in forte ascesa a corte.
Armand-Jean du Plessis de Richelieu, aveva assunto appena poco più che ventenne il piccolo e meschino vescovado di Lucon ereditario nella sua famiglia, del quale non poteva a lungo andare tenersi appagato, data la sua cocente ambizione ed il giustificato sentimento che aveva del proprio valore. Importanti servizi da lui resi alla corte in occasione degli Stati Generali del 1615 lo raccomandarono alla reggente che ben presto se ne fece il suo fidato ministro. Più tardi l'aver saputo realizzare la riconciliazione di Luigi con la madre gli guadagnò il favore del re, che gli fece conferire il cappello cardinalizio e nel 1622 lo chiamò nel proprio ministero. Qui le doti veramente geniali della sua mente gli conquistarono ben presto una posizione predominante, la quale nell'agosto 1624 ebbe anche la sua consacrazione formale con la nomina a primo ministro. Da questo momento egli si considerò unicamente come il devoto servitore della monarchia e dello Stato, per il cui bene ritenne non solo lecito ma persino doveroso l'impiego di ogni mezzo, sia pure l'inganno e la doppiezza diplomatica, sia pure, occorrendo, la durezza e la crudeltà. Suo duplice scopo fu di rendere la corona francese onnipotente all'interno e di procurarle una posizione egemonica di fronte a tutti gli altri Stati all'esterno. E per prima cosa si propose sopra tutto di infrangere la potenza degli Asburgo, valendosi dell'aiuto anche degli Stati protestanti; cosa quest'ultima che si spiega col fatto che Richelieu, pur essendo personalmente un fervente
e fedele cattolico, anzi un eminente teologo e scrittore in materia di religione, tuttavia era tollerantissimo delle altrui convinzioni e riteneva che gli interessi religiosi non dovessero pregiudicare gli interessi politici dello Stato.
Una prima applicazione di questi suoi criteri egli la fece nella questione della Valtellina, regione di fede cattolica, ma sino allora pertinente al cantone protestante dei Grigioni. Gli Spagnoli, con la mira ultima di annettere ai loro domini milanesi quel territorio molto importante come via di transito e di comunicazione tra l'Italia ed i possedimenti degli Asburgo in Germania, vi avevano provocato con le loro trame nel luglio 1620 la strage di tutti i protestanti che vi dimoravano, inscenando così un movimento popolare di liberazione dalla sovranità dei Grigioni, che essi dicevano di voler proteggere. E infatti, dopo questa strage truppe spagnole ed austriache avevano invaso la Valtellina, ed anzi erano penetrate sin nel cantone dei Grigioni e vi si erano insediate. Quest'atto di sopraffazione restò impunito sino al 1623, allorquando la Francia, ormai sotto la guida di Richelieu, decise di opporvisi. Essa nel settembre 1624 si alleò a St. Germain contro gli Asburgo con la repubblica di Venezia, con la Savoja e con l'Inghilterra, e poco dopo truppe francesi condotte dal marchese di Cocuvres entrarono nei Grigioni e nella Valtellina e ne scacciarono gli spagnoli. In tale sua azione la Francia fu sicura dell'appoggio dei Paesi Bassi, i quali, dal momento in cui era spirata la tregua di dodici anni, cioè dal 1621, si trovavano nuovamente in guerra con la Spagna.
Nella libera Olanda di quest'epoca l'idea centralistica e coordinatrice dell'azione militare si incarnava principalmente nella persona del governatore generale, allora Maurizio d'Orange, cui spettava il comando dell'esercito e della flotta. La sua autorità si basava sul favore del basso popolo, dei soldati e marinai, e non poco anche sulla propaganda dei predicatori, i quali erano entusiastici sostenitori della gloriosa dinastia di Nassau. Ma il vero e proprio potere dirigente si concentrava negli stati generali, formati a loro volta da delegati degli stati provinciali. E siccome in questi ultimi predominavano i magistrati delle città ordinate a repubbliche di tipo oligarchico, erano in definitiva questi magistrati, vale a dire il patriziato cittadino, i veri padroni dello Stato federale. Costoro, gelosissimi dei privilegi cittadini, poco favorevoli al potere centrale, costituivano, specialmente nella provincia più popolosa e ricca qual'era l'Olanda, il partito particolarista aristocratico dei così detti «patrioti ». Alla loro testa stava il pensionario d'Olanda, Giovanni van Olden-Barnevelt, l'uomo di stato più influente e benemerito dell'Unione, ma appunto per il suo particolarismo odiato mortalmente dal governatore generale.
L'antagonismo politico era per di più aggravato da quello religioso. In questi tempi vi era scissione tra il teologo libero pensatore Arminio (Giacomo Harmensen), del quale era seguace la colta aristocrazia cittadina, ed i calvinisti intransigenti seguaci di Francesco Gomaro, che avevano dalla loro parte tutto il basso popolo ed erano fieramente ostili al primo indirizzo liberista. Naturalmente Olden-Barnevelt era arminiano, mentre Maurizio d'Orange era gomarista. Scoppiarono aspre contese fra le due parti, e queste porsero a Maurizio l'occasione di far condannare a morte e giustiziare il pensionario come reo di alto tradimento e di eresia (13 maggio 1619), e di far condannare alla prigionia perpetua i più ragguardevoli tra i suoi seguaci, fra i quali il giurista Hugo de Groot (Grozio). Ma Grozio riuscì a fuggire con l'aiuto della sua impavida consorte che lo nascose in una cesta di libri.
Un sinodo nazionale tenuto a Dordrecht nel maggio 1619 condannò l'arminianismo quale indirizzo eretico e scismatico e dichiarò deposti tutti i predicatori non fedeli alla rigorosa dottrina calvinista. Questa fu una vittoria dell'intolleranza religiosa e di una mentalità gretta, ma nel tempo stesso rappresentò una vittoria dell'autorità del governatore centrale.
Richelieu si alleò con questa nazione piena di vitalità e di energia e nella coscienza della propria forza aspirante a più alti destini. Ma egli si vedeva ancora impedito dal condurre una politica estera risoluta da due ostacoli interni; da un lato gli Ugonotti, i quali, vedendo sistematicamente conculcati dal governo francese i residui della loro indipendenza politica, sobillati e finanziati dalla Spagna, si erano levati in armi nel gennaio 1625 sotto la guida di due membri dell'alta nobiltà i fratelli Rohan e Soubise; dall'altro lato il partito filospagnolo clericale intransigente. Richelieu concepì il geniale disegno di servirsi prima dei suoi alleati protestanti stranieri per sottomettere i loro corregionari francesi, e poi di riconciliarsi i clericali senza soverchi sacrifici.
Abilmente riuscì a raggiungere ambedue questi scopi. Siccome gli Ugonotti per aver fatto lega con la Spagna erano guardati addirittura come nemici della comune causa protestante, così Richelieu ottenne che navi inglesi ed olandesi lo aiutassero a conquistare La Rochelle. I riformati francesi furono costretti nel 1626 a venire ad un compromesso col governo, che peraltro loro fruttò piuttosto belle promesse che reali vantaggi. Conseguito il primo intento, Richelieu piantò in asso i suoi alleati protestanti e, per accattivarsi i capi del partito clericale, concluse nel maggio 1626 a Barcellona la pace separata con la Spagna.
La Valtellina venne dichiarata indipendente. Con ciò la Spagna veniva costretta ad abbandonare la sua preda e gli importanti passi alpini che le stavano a cuore, ma anche i Grigioni, alleati per tanto tempo della Francia, si trovarono spogliati della loro provincia.
A questo punto Richelieu vide sollevarglisi contro il terzo elemento che gli faceva l'opposizione all'interno: l'alta nobiltà capitanata dallo stesso fratello del re, il duca Gastone d'Orleans. Per fortuna del primo ministro di Luigi questo principe, benché amabile e di squisita educazione, era però un uomo di intelligenza limitata, fiacco ed egoista, sempre pronto a tradire i suoi fedeli amici per salvare sé stesso. Richelieu decise di restaurare l'autorità del re anche di fronte ai suoi prossimi parenti. Fece imprigionare due fratelli naturali di Luigi, i Vendome, e giustiziare i minori partecipi della congiura. Il duca di Orleans che li aveva denunziati si consolò della triste sorte ad essi toccata sposando la più ricca ereditiera di Francia, la principessa di Montpensier, con l'effetto di portare ad una altezza per quei tempi favolosa le sue rendite annue.
Sembra inconcepibile che il re potesse dubitare un momento nello scegliere tra gente simile il geniale ministro Richelieu. Eppure non lo amava, perché l'immensa superiorità di quell'uomo gravava come un incomodo giogo sulla sua ristretta intelligenza, e angustiava il suo carattere pusillanime, debole e gretto. Fortuna per Richelieu che Luigi, pur non amandolo, lo temeva e lo riconosceva indispensabile, cosicché non osò mai disfarsi dell'odiato padrone; ed anzi attese sotto la guida del cardinale, con solerzia e non senza una certa abilità al disbrigo degli affari minuti in materia di amministrazione militare; il monarca divenne un buon capo-ufficio del suo ministero della guerra Richelieu. E giunse persino ad inserire nella ufficiosa Gazette de France degli articoli, scritti di propria mano, per esaltare la politica del suo primo ministro. Nel resto non sì occupò che di pratiche religiose e della sua unica passione, la caccia.
La sconfitta dell'alta aristocrazia provocò il ridestarsi dell'odio del popolo contro la nobiltà. Approfittando di queste condizioni dello spirito pubblico ed informandosi ad un desiderio ripetutamente manifestato dal terzo stato, una ordinanza del 31 luglio 1626 prescrisse lo smantellamento di tutte le fortificazioni dei castelli nobiliari. L'ordine aveva una portata considerevole, perché arrecava un colpo radicale alle autonomie feudali; esso fu eseguito con entusiasmo ed a suon di musiche dalle stesse popolazioni dei comuni rurali. L'immensa maggioranza del popolo francese, dopo i gravi travagli della guerra civile, agognava alla tranquillità, all'ordine, all'incremento del benessere economico, e possibilmente alla gloria fuori dei confini del paese. Ed il suo vivo attaccamento alla monarchia rese possibile al cardinale di abbattere e distruggere senza pietà tutti i nemici dell'onnipotenza della corona, di cui egli, come ministro, voleva essere l'assertore e il realizzatore. E nel far questo ebbe il notevole e continuo l'appoggio dello spirito nazionale.
Gli Ugonotti, i quali non potevano consolarsi della perdita della loro indipendenza politica, insorsero nuovamente nel 1627, istigati questa volta dall'Inghilterra, irritatissima contro il cardinale per la pace separata da lui conclusa con la Spagna a Barcellona. Ma le forze inglesi di terra e di mare non furono in grado di spuntarla contro le difese preventivamente apprestate e messe in campo da Richelieu; e nel farle si dimostrò altrettanto buon generale quanto eminente uomo di Stato e principe della Chiesa. Egli assediò La Rochelle, che sotto la guida del proprio borgomastro Jean Guiton si difese con tenace valore. Ma finalmente la fame costrinse la città alla resa; essa perdette le sue libertà, la sua religione e vide abbattute le sue mura (novembre 1628).
Nel luglio 1629 dovettero sottomettersi anche i protestanti di Montauban e delle Cevenne. Richelieu promise loro completa tolleranza religiosa e mantenne la parola. Ciò del resto non era che una applicazione del suo criterio che gli interessi religiosi dovevano subordinarsi agli interessi politici dello Stato, criterio del quale si ebbe la prova più patente allorché egli, cardinale della chiesa, con grave scandalo della Santa Sede, pose un altro cardinale, La Vallette, accanto a due protestanti, il duca di Weimar e il duca de la Force, per combattere gli eserciti cattolici dell'imperatore, della Spagna e della Lega tedesca.
Ma il fanatico partito clericale fu assai malcontento del trattamento mite fatto agli Ugonotti. A capo di esso si mise la stessa Maria dei Medici, un tempo protettrice di Richelieu ed ora insofferente dell'onnipotenza acquistata dal suo protetto e irritata per la tolleranza religiosa ch'egli praticava. Essa fece un tentativo per abbatterlo. Ma il re comprese da che parte stesse l'interesse della corona. Maria, scesa in campo, dopo breve speranza di vittoria, subì una decisiva sconfitta l'11 novembre 1630 (tournée des dupes); si vide costretta a fuggire dalla Francia e riparò prima a Bruxelles, poi a Colonia, dove morì dodici anni dopo in angustie finanziarie, lei, la vedova di Enrico IV, la già reggente di Francia, perché aveva osato opporsi al progresso del principio monarchico. Poteva questo vantare un trionfo più splendido? Gastone di Orleans, allora erede presuntivo del trono, che aveva parteggiato per Maria, riparò presso uno dei più inconciliabili nemici della Francia, il duca Carlo IV di Lorena.
A questo punto, non solo la nobiltà, ma anche i ceti più elevati della borghesia provarono insofferenza e astio per quest' uomo, che salito da modesta condizione all'alta sua carica, per accrescere la propria potenza era riuscito a cacciare la madre ed il fratello e l'erede del re.
Tutti i vecchi elementi storici della società francese, alta nobiltà, magistrature cittadine, parlamenti, insorsero contro il sanguinoso rivoluzionario in porpora cardinalizia. Alla loro testa si misero Gastone di Orleans e il duca di Montmorency, ultimo rampollo della più illustre famiglia nobile francese. In aiuto dei ribelli vennero truppe spagnole e lorenesi. Per quanto pericolosa fosse la sua situazione, Richelieu non perdette neppure un momento il coraggio e l'energia. Le truppe regie furono pronte a fronteggiarla dappertutto. Ai Lorenesi e Spagnoli lui rispose portando la guerra nei loro stessi possedimenti. Montmorency poi attaccò audacemente il maresciallo di Francia Schomberg nel suo campo trincerato presso Castelnaudary, ma rimase ferito nella battaglia e fu preso prigioniero (1° settembre 1632). La caduta del popolare capo scompigliò e dissolse automaticamente il partito della resistenza. Gastone al suo solito non si preoccupò che di salvare sé stesso e le sue ricchezze e infatti fece pace col potente ministro lasciandogli espressamente mano libera contro i suoi sventurati compagni ed abbandonandoli al rigore delle leggi. Un campione più abbietto e spregevole non avrebbe potuto trovare la causa delle autonomie e dei privilegi particolari tradizionali per opporsi alla rivoluzione procedente dall'alto.
Dopo ciò la vendetta di Richelieu colpì tutte le personalità più cospicue partecipi dell'insurrezione. Aprendo la serie l'ultimo dei Montmorency finì sul patibolo (30 ottobre 1632). Poi vennero istituite commissioni straordinarie che in funzione di tribunali eccezionali percorsero le province e senza forme di procedura, anzi senza neppure sentire gli accusati, pronunziarono numerose condanne a morte. L'autorità del primo ministro doveva trionfare anche a discapito della legge.