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-La Rivoluzione francese (parte prima)
Le cause
Una delle più importanti cause della Rivoluzione francese riguarda l'ambito economico. Molti fattori infatti resero debole nel '700 l'economia francese.
Innanzi tutto un debito nazionale ingestibile, causato ed aggravato dal peso di un sistema di tassazione grossolanamente iniquo, considerato che le classi privilegiate (nobiltà e clero) non erano obbligate a pagare. Questo rese più acute le tensioni sociali e politiche e contribuì a produrre una grave crisi economica, che fu ulteriormente aggravata dai costi che la Francia sostenne per il proprio intervento a favore dell'indipendenza americana. La scarsità di cibo negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione peggiorò la condizione degli strati più bassi della popolazione.
Ma ci furono anche cause politiche. La crescita della borghesia nella pur disastrata economia francese, non era accompagnata da una crescita in campo politico, mantenendo la divisione degli Stati Generali (Nobiltà, Clero e Terzo Stato), creò attriti tra le varie classi sociali, unito al risentimento per i privilegi della nobiltà e il dominio della vita pubblica da parte di una ambiziosa classe professionale.
Inoltre la stessa nobiltà, provata dei propri poteri dall'assolutismo del re Sole, desiderava ricreare le basi del proprio potere politico, anche arroccandosi tra diritti feudali ormai desueti, malvisti dai contadini.
Infine le cause culturali: la crisi dell'assolutismo e la piena maturazione degli ideali dell'illuminismo, tra i quali la libertà, la fraternità, l'uguaglianza, il rifiuto di una società divisa, la separazione dei poteri dello Stato.
Durante i regni di Luigi XV e Luigi XVI, diversi ministri, inclusi Anne Robert Turgot e Jacques Necker, cercarono senza riuscirvi di modificare il sistema impositivo e convertirlo in un sistema più giusto ed uniforme. Tali iniziative incontrarono una forte opposizione da parte della nobiltà, che si considerava garante nella lotta contro il dispotismo. Questi ministri furono così costretti a rinunciare al loro mandato.
Si cominciò a pensare che fosse necessario l'intervento di un organo che rappresentasse tutta la nazione, gli Stati Generali che non venivano più convocati dal 1614.
Dopo aver licenziato due ministri dell'economia Charles Alexandre de Calonne e Etienne-Charles de Loménie de Brienne, nel 1788 Luigi XVI richiamò in carica Jacques Necker, già ministro dal 1776 al 1781, il quale rese pubblico il bilancio del regno. Lo Stato percepiva 503 milioni di lire di entrate contro 620 di spese. Gli interessi sul debito ammontavano da soli a 310 milioni, cioè la metà delle spese. 36 milioni erano le spese per le feste e le pensioni per i cortigiani in tempi di povertà e fame.
Con la volontà di convocare gli Stati Generali (da ora S.G.) si acuirono le tensioni politiche. I tre Stati infatti non votavano per testa, ma per ordine, di conseguenza la nobiltà e il clero, pur rappresentando il 2% della popolazione, se unite (come storicamente spesso avvenne) avevano la maggioranza dei voti. L'elezione dei rappresentanti sollevò in primis questo problema, soprattuto tra i candidati del Terso Stato, oltre alle speranze delle singole classi (i contadini speravano in un miglioramento delle loro condizioni di vita con l'abbandono dei diritti feudali, la borghesia formata alle idee illuministe, una piccola parte della nobiltà e il basso clero che viveva vicino al popolo ed era sensibile alle sue difficoltà, sperava nell'instaurazione dell'uguaglianza dei diritti e di una monarchia parlamentare secondo il modello inglese). Il 27 novembre 1788 dopo molte pressioni, il Terzo Stato otteneva il raddoppio dei suoi rappresentanti all'assemblea. Ma la proposta di voto per testa venne lasciata agli S.G. stessi.
Il 5 maggio 1789 a Versailles gli S.G. si riunirono. Si capì subito che, in realtà, non si sarebbe affatto parlato del problema della votazione e il re andò direttamente a toccare il tema delle tasse, mentre il Terzo Stato avrebbe voluto che i rappresentanti dei tre ordini votassero e discutessero tutti insieme, cosa che invece non accadeva, ogni ordine discuteva separatamente. I nobili si mossero subito per la verifica separata, mentre il clero timidamente cominciò a unirsi al "popolo" (non inganni questa definizione, i rappresentanti del Terzo Stato erano tutt'altro che contadini).
Il 17 giugno 1789, con il fallimento degli sforzi per riconciliare i tre Stati, il "popolo" completò il suo processo di verifica, diventando l'unico stato i cui poteri fossero stati appropriatamente legalizzati. Quasi immediatamente votò una misura molto più radicale: si dichiararò Assemblea Nazionale, un'assemblea non degli Stati, ma del popolo. Invitarono gli altri ordini ad unirsi, ma resero chiaro che intendevano fare gli interessi della nazione con o senza di loro. Il 19 luglio 1789 il clero decise di unirsi completamente al Terzo Stato.
Se Luigi avesse marciato nella Salle des États, dove l'Assemblea Nazionale si incontrava, probabilmente il suo piano sarebbe potuto riuscire, ma se ne restò a Marly e il 20 giugno ordinò la chiusura della sala, aspettandosi di impedire in questo modo all'Assemblea di riunirsi per diversi giorni, mentre lui si preparava. L'Assemblea spostò semplicemente le proprie deliberazioni nel campo da pallacorda del Re, dove procedette al Giuramento della Sala della Pallacorda, il 20 giugno 1789, con il quale si accordò per non sciogliersi finché alla Francia non fosse stata data una costituzione scritta. Due giorni dopo, privata anche dell'uso della Sala della Pallacorda, l'Assemblea Nazionale si riunì nella chiesa di Saint-Louis, dove venne raggiunta dalla maggioranza dei rappresentanti del clero: gli sforzi per ripristinare il vecchio ordine erano serviti solo per accelerare gli eventi. Quando, il 23 giugno 1789, in accordo con il suo piano, il re si rivolse finalmente ai rappresentanti dei tre Stati, si trovò di fronte a un silenzio di pietra. Il re dichiarò che si conservasse la distinzione degli ordini, che venisse annullata la costituzione del Terzo Stato in Assemblea Nazionale e aggiunse che se l'assemblea l'avesse abbandonato, egli avrebbe fatto il bene del popolo senza di essa e concluse ordinando a tutti di disperdersi, ma venne seguito solo dai nobili e dal clero, mentre i deputati del Terzo stato rimasero seduti.
Il re scrisse ai presidenti della nobiltà e del clero, per invitarli a riunirsi all'assemblea degli stati generali, al fine di occuparsi delle sue dichiarazioni del 23 giugno. Il clero obbedì senza riserve, ma la nobiltà si indignò di una proposta che le faceva perdere tutti i frutti della sua resistenza, quando il suo presidente lesse una lettera del conte di Artois che faceva intendere che occorreva riunirsi perché la vita del re era in pericolo.
Così il 27 giugno gli ordini si riunirono nella sala comune ed il partito reale aveva ceduto apertamente, anche se la probabilità di un contraccolpo militare rimase nell'aria. Intatti, i militari francesi incominciarono ad accorrere in grande numero attorno a Parigi e Versailles. Giunsero molti messaggi di supporto all'Assemblea, da Parigi e da altre città della Francia. Il 9 luglio 1789 l'Assemblea si ricostituì come Assemblea Nazionale Costituente, rivolgendosi al re in termini educati ma fermi, richiedendo la rimozione delle truppe (che ora includevano reggimenti stranieri, più obbedienti al re rispetto alle truppe francesi), ma Luigi dichiarò che lui solo poteva giudicare il bisogno delle truppe, e li rassicurò che queste erano una misura strettamente precauzionale. Luigi "offrì" di spostare l'Assemblea a Noyon o Soissons, cioè di porla in mezzo a due eserciti e privarla del supporto dei parigini.
Parigi fu unanime nel supportare l'Assemblea, vicina all'insurrezione. La stampa pubblicò i dibattiti dell'Assemblea; la discussione politica si estese oltre ad essa e arrivò nelle piazze e nei salotti della capitale. Il Palais Royal e l'area circostante divennero il luogo di continui incontri. La folla, con l'autorità degli incontri al Palais Royal, aprì le prigioni dell'Abbazia per rilasciare alcuni granatieri delle Guardie francesi che erano stati imprigionati per essersi rifiutati di aprire il fuoco sulla gente. L'Assemblea li raccomandò alla clemenza del Re, questi tornarono in prigione e ricevettero il perdono. Il loro reggimento ora era favorevole alla causa popolare.
Il 12 luglio il re destituì Necker e gli ordinò di lasciare la Francia entro 48 ore. L'indomani fu convocato il consiglio del re. Quel giorno l'Assemblea non doveva riunirsi ed il popolo di Parigi fu spaventato da quegli eventi e fece una grande manifestazione popolare portando i busti di Necker e del duca d'Orleans. Dei soldati tedeschi ricevettero l'ordine di caricare sulla folla e distrussero le statue che trasportavano. Ci furono molti feriti ed il popolo di Parigi si sollevò. L'indomani i cittadini si organizzarono e 60.000 uomini furono armati, arruolati e distribuiti in compagnie.
Intanto l'Assemblea nazionale avvertì il re del pericolo che correva la Francia se le truppe non fossero state allontanate dalla capitale. Il re rispose che non avrebbe cambiato le sue disposizioni.
Il rifiuto del re portò la disperazione a Parigi, e girarono delle voci che dicevano che non ci sarebbero stati né pace né libertà finché fosse esistita la Bastiglia. Così il 14 luglio 1789 i Parigini, in un'atmosfera rivoluzionaria, presero l'arsenale dell'Hôtel des Invalides, dove trovarono delle armi e dei cannoni, ma non la polvere da sparo, poi si ammassarono presso la prigione reale della Bastiglia per cercare la polvere. Il governatore della prigione Bernard de Launay voleva resistere, ma alla domanda dei mediatori venuti dall'Hôtel de Ville dove sedeva un comitato permanente, organo dell'insurrezione borghese, lasciò che la folla penetrasse nella prima corte. Poi si ravvide e fece uccidere questa folla: ci furono un centinaio di morti. Successivamente dei soldati ammutinati portarono dei cannoni ed il governatore cedette e abbassò il ponte levatoio. Poi, trovato dalla folla, fu ucciso.
Innanzi tutto un debito nazionale ingestibile, causato ed aggravato dal peso di un sistema di tassazione grossolanamente iniquo, considerato che le classi privilegiate (nobiltà e clero) non erano obbligate a pagare. Questo rese più acute le tensioni sociali e politiche e contribuì a produrre una grave crisi economica, che fu ulteriormente aggravata dai costi che la Francia sostenne per il proprio intervento a favore dell'indipendenza americana. La scarsità di cibo negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione peggiorò la condizione degli strati più bassi della popolazione.
Ma ci furono anche cause politiche. La crescita della borghesia nella pur disastrata economia francese, non era accompagnata da una crescita in campo politico, mantenendo la divisione degli Stati Generali (Nobiltà, Clero e Terzo Stato), creò attriti tra le varie classi sociali, unito al risentimento per i privilegi della nobiltà e il dominio della vita pubblica da parte di una ambiziosa classe professionale.
Inoltre la stessa nobiltà, provata dei propri poteri dall'assolutismo del re Sole, desiderava ricreare le basi del proprio potere politico, anche arroccandosi tra diritti feudali ormai desueti, malvisti dai contadini.
Infine le cause culturali: la crisi dell'assolutismo e la piena maturazione degli ideali dell'illuminismo, tra i quali la libertà, la fraternità, l'uguaglianza, il rifiuto di una società divisa, la separazione dei poteri dello Stato.
Dalla crisi economica alla presa della Bastiglia
Lo Stato francese si trovava in una grave crisi finanziaria, in parte dovuta all'appoggio economico inviato dal governo alle 13 colonie inglesi d'America durante la guerra d'indipendenza, ma anche ereditata dalle grandi spese effettuate dal Luigi XIV per finanziare le sue guerre.Durante i regni di Luigi XV e Luigi XVI, diversi ministri, inclusi Anne Robert Turgot e Jacques Necker, cercarono senza riuscirvi di modificare il sistema impositivo e convertirlo in un sistema più giusto ed uniforme. Tali iniziative incontrarono una forte opposizione da parte della nobiltà, che si considerava garante nella lotta contro il dispotismo. Questi ministri furono così costretti a rinunciare al loro mandato.
Si cominciò a pensare che fosse necessario l'intervento di un organo che rappresentasse tutta la nazione, gli Stati Generali che non venivano più convocati dal 1614.
Dopo aver licenziato due ministri dell'economia Charles Alexandre de Calonne e Etienne-Charles de Loménie de Brienne, nel 1788 Luigi XVI richiamò in carica Jacques Necker, già ministro dal 1776 al 1781, il quale rese pubblico il bilancio del regno. Lo Stato percepiva 503 milioni di lire di entrate contro 620 di spese. Gli interessi sul debito ammontavano da soli a 310 milioni, cioè la metà delle spese. 36 milioni erano le spese per le feste e le pensioni per i cortigiani in tempi di povertà e fame.
Con la volontà di convocare gli Stati Generali (da ora S.G.) si acuirono le tensioni politiche. I tre Stati infatti non votavano per testa, ma per ordine, di conseguenza la nobiltà e il clero, pur rappresentando il 2% della popolazione, se unite (come storicamente spesso avvenne) avevano la maggioranza dei voti. L'elezione dei rappresentanti sollevò in primis questo problema, soprattuto tra i candidati del Terso Stato, oltre alle speranze delle singole classi (i contadini speravano in un miglioramento delle loro condizioni di vita con l'abbandono dei diritti feudali, la borghesia formata alle idee illuministe, una piccola parte della nobiltà e il basso clero che viveva vicino al popolo ed era sensibile alle sue difficoltà, sperava nell'instaurazione dell'uguaglianza dei diritti e di una monarchia parlamentare secondo il modello inglese). Il 27 novembre 1788 dopo molte pressioni, il Terzo Stato otteneva il raddoppio dei suoi rappresentanti all'assemblea. Ma la proposta di voto per testa venne lasciata agli S.G. stessi.
Il 5 maggio 1789 a Versailles gli S.G. si riunirono. Si capì subito che, in realtà, non si sarebbe affatto parlato del problema della votazione e il re andò direttamente a toccare il tema delle tasse, mentre il Terzo Stato avrebbe voluto che i rappresentanti dei tre ordini votassero e discutessero tutti insieme, cosa che invece non accadeva, ogni ordine discuteva separatamente. I nobili si mossero subito per la verifica separata, mentre il clero timidamente cominciò a unirsi al "popolo" (non inganni questa definizione, i rappresentanti del Terzo Stato erano tutt'altro che contadini).
Il 17 giugno 1789, con il fallimento degli sforzi per riconciliare i tre Stati, il "popolo" completò il suo processo di verifica, diventando l'unico stato i cui poteri fossero stati appropriatamente legalizzati. Quasi immediatamente votò una misura molto più radicale: si dichiararò Assemblea Nazionale, un'assemblea non degli Stati, ma del popolo. Invitarono gli altri ordini ad unirsi, ma resero chiaro che intendevano fare gli interessi della nazione con o senza di loro. Il 19 luglio 1789 il clero decise di unirsi completamente al Terzo Stato.
Se Luigi avesse marciato nella Salle des États, dove l'Assemblea Nazionale si incontrava, probabilmente il suo piano sarebbe potuto riuscire, ma se ne restò a Marly e il 20 giugno ordinò la chiusura della sala, aspettandosi di impedire in questo modo all'Assemblea di riunirsi per diversi giorni, mentre lui si preparava. L'Assemblea spostò semplicemente le proprie deliberazioni nel campo da pallacorda del Re, dove procedette al Giuramento della Sala della Pallacorda, il 20 giugno 1789, con il quale si accordò per non sciogliersi finché alla Francia non fosse stata data una costituzione scritta. Due giorni dopo, privata anche dell'uso della Sala della Pallacorda, l'Assemblea Nazionale si riunì nella chiesa di Saint-Louis, dove venne raggiunta dalla maggioranza dei rappresentanti del clero: gli sforzi per ripristinare il vecchio ordine erano serviti solo per accelerare gli eventi. Quando, il 23 giugno 1789, in accordo con il suo piano, il re si rivolse finalmente ai rappresentanti dei tre Stati, si trovò di fronte a un silenzio di pietra. Il re dichiarò che si conservasse la distinzione degli ordini, che venisse annullata la costituzione del Terzo Stato in Assemblea Nazionale e aggiunse che se l'assemblea l'avesse abbandonato, egli avrebbe fatto il bene del popolo senza di essa e concluse ordinando a tutti di disperdersi, ma venne seguito solo dai nobili e dal clero, mentre i deputati del Terzo stato rimasero seduti.
Il re scrisse ai presidenti della nobiltà e del clero, per invitarli a riunirsi all'assemblea degli stati generali, al fine di occuparsi delle sue dichiarazioni del 23 giugno. Il clero obbedì senza riserve, ma la nobiltà si indignò di una proposta che le faceva perdere tutti i frutti della sua resistenza, quando il suo presidente lesse una lettera del conte di Artois che faceva intendere che occorreva riunirsi perché la vita del re era in pericolo.
Così il 27 giugno gli ordini si riunirono nella sala comune ed il partito reale aveva ceduto apertamente, anche se la probabilità di un contraccolpo militare rimase nell'aria. Intatti, i militari francesi incominciarono ad accorrere in grande numero attorno a Parigi e Versailles. Giunsero molti messaggi di supporto all'Assemblea, da Parigi e da altre città della Francia. Il 9 luglio 1789 l'Assemblea si ricostituì come Assemblea Nazionale Costituente, rivolgendosi al re in termini educati ma fermi, richiedendo la rimozione delle truppe (che ora includevano reggimenti stranieri, più obbedienti al re rispetto alle truppe francesi), ma Luigi dichiarò che lui solo poteva giudicare il bisogno delle truppe, e li rassicurò che queste erano una misura strettamente precauzionale. Luigi "offrì" di spostare l'Assemblea a Noyon o Soissons, cioè di porla in mezzo a due eserciti e privarla del supporto dei parigini.
Parigi fu unanime nel supportare l'Assemblea, vicina all'insurrezione. La stampa pubblicò i dibattiti dell'Assemblea; la discussione politica si estese oltre ad essa e arrivò nelle piazze e nei salotti della capitale. Il Palais Royal e l'area circostante divennero il luogo di continui incontri. La folla, con l'autorità degli incontri al Palais Royal, aprì le prigioni dell'Abbazia per rilasciare alcuni granatieri delle Guardie francesi che erano stati imprigionati per essersi rifiutati di aprire il fuoco sulla gente. L'Assemblea li raccomandò alla clemenza del Re, questi tornarono in prigione e ricevettero il perdono. Il loro reggimento ora era favorevole alla causa popolare.
Il 12 luglio il re destituì Necker e gli ordinò di lasciare la Francia entro 48 ore. L'indomani fu convocato il consiglio del re. Quel giorno l'Assemblea non doveva riunirsi ed il popolo di Parigi fu spaventato da quegli eventi e fece una grande manifestazione popolare portando i busti di Necker e del duca d'Orleans. Dei soldati tedeschi ricevettero l'ordine di caricare sulla folla e distrussero le statue che trasportavano. Ci furono molti feriti ed il popolo di Parigi si sollevò. L'indomani i cittadini si organizzarono e 60.000 uomini furono armati, arruolati e distribuiti in compagnie.
Intanto l'Assemblea nazionale avvertì il re del pericolo che correva la Francia se le truppe non fossero state allontanate dalla capitale. Il re rispose che non avrebbe cambiato le sue disposizioni.
Il rifiuto del re portò la disperazione a Parigi, e girarono delle voci che dicevano che non ci sarebbero stati né pace né libertà finché fosse esistita la Bastiglia. Così il 14 luglio 1789 i Parigini, in un'atmosfera rivoluzionaria, presero l'arsenale dell'Hôtel des Invalides, dove trovarono delle armi e dei cannoni, ma non la polvere da sparo, poi si ammassarono presso la prigione reale della Bastiglia per cercare la polvere. Il governatore della prigione Bernard de Launay voleva resistere, ma alla domanda dei mediatori venuti dall'Hôtel de Ville dove sedeva un comitato permanente, organo dell'insurrezione borghese, lasciò che la folla penetrasse nella prima corte. Poi si ravvide e fece uccidere questa folla: ci furono un centinaio di morti. Successivamente dei soldati ammutinati portarono dei cannoni ed il governatore cedette e abbassò il ponte levatoio. Poi, trovato dalla folla, fu ucciso.