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La Rivoluzione francese (parte seconda)

Questa pagina fa parte dello speciale:
La rivoluzione e Napoleone

-La Rivoluzione francese (parte seconda)


Dichiarazione dei diritti dell'uomo
e del cittadino
Il 15 luglio 1789 il re si recò all'Assemblea nazionale senza pompa e senza corteo e disse che da quel momento avrebbe lavorato con la nazione, che si fidava dei suoi rappresentanti e che avrebbe ordinato alle truppe di allontanarsi da Versailles e da Parigi. Questi annunci furono accolti da acclamazioni generali.Su richiesta dell'Assemblea il re richiamò Necker al governo ed annunciò una visita a Parigi.

All'Hôtel de Ville di Parigi, tutti i membri della precedente amministrazione erano fuggiti e Jean Sylvain Bailly, presidente dell'Assemblea nazionale, fu nominato per acclamazione «Sindaco di Parigi». La Fayette fu nominato Comandante Generale della Guardia Nazionale. Venne messa in piedi una nuova organizzazione municipale. Luigi XVI la riconobbe quando il 17 luglio si recò a Parigi. In quest'occasione Bailly gli diede la coccarda blu e rossa, i colori della città di Parigi, che Luigi XVI fissò al suo cappello associando anche il colore bianco della monarchia. Questo gesto voleva simboleggiare la riconciliazione di Parigi con il suo re. Ma di fatto il re accettò che la sua autorità fosse tenuta in ostaggio da una sommossa parigina. I deputati accettarono che il loro potere dipendesse dalla violenza popolare.

Durante questo tempo, la fama dei vincitori della Bastiglia si diffuse per tutta la Francia, facendo vedere che la forza della cittadinanza era venuta in soccorso ai riformatori. Molto presto fu elaborata una simbologia della presa della Bastiglia: la Bastiglia rappresentava il potere arbitrario del re.

In provincia, dal 20 luglio 1789 al 6 agosto 1789, nelle campagne circolarono dei rumori confusi chiamati « Grande Paura ». I contadini credevano che i raccolti sarebbero stati razziati da dei briganti. All'annuncio dell'arrivo dei briganti suonava l'allarme nei villaggi. I contadini si armavano di forche, di falci e di altri utensili. Desiderosi di maggior protezione, si recavano in massa verso il castello del signore locale per ottenere fucili e polvere da sparo. Qui però finivano per sfogare la propria rabbia verso i poteri dominanti esigendo i titoli signorili che stabilivano la dominazione economica e sociale dei loro proprietari e li bruciavano. Se il signore o i suoi uomini resistevano, venivano molestati: ci furono diversi casi in cui dei signori vennero assassinati e dei castelli furono saccheggiati o bruciati. Di fronte a queste violenze, nella notte del 4 agosto 1789 l'Assemblea reagì abolendo i privilegi, i diritti feudali, la venalità degli uffici e le disuguaglianze fiscali. Fu la fine della società dell'Ancien Régime.
Il 26 agosto 1789 l'Assemblea costituente votò la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, ispirata ai principi degli Illuministi: essa era una condanna senza appello alla monarchia assoluta ed alla società degli ordini. Essa era anche il riflesso delle aspirazioni della borghesia dell'epoca: la garanzia delle libertà individuali, la sacralità della proprietà, la spartizione del potere con il re e tutti gli impieghi pubblici.

L'Assemblea costituente, in maggioranza formata da borghesi e nobili, intraprese una vasta opera di riforme, applicando le idee dei filosofi e degli economisti del XVIII secolo. Dalla riorganizzazione amministrativa, semplificando la burocrazia dell'Ancien Régime (prime elezioni rivoluzionarie nel gennaio del 1790); alla risoluzione della questione religiosa, vennero soppresse le decime e confiscati i beni del clero, mettendoli a disposzione della Nazione per l'estinzione del debito pubblico. Per risolvere, a questo punto, il problema del finanziamento del clero, venne adottata la Costituzione civile del clero, che trasformava gli ecclesiastici in funzionari salariati dello Stato. I membri del clero secolare erano eletti e dovevano prestare un giuramento di fedeltà alla Nazione, alla Legge ed al re. I primi chierici cominciarono a prestare giuramento senza attendere il giudizio del sovrano pontefice. Ma nel marzo 1791, papa Pio VI condannò tutte queste riforme riguardanti la Chiesa di Francia. La Costituente divise la popolazione in due campi antagonisti: circa il 45% degli ecclesiastici furono non giuranti o refrattari. Questo fu l'inizio del dramma che si verificò tra il 1792 ed il 1793.

La caduta della monarchia e l'inizio della Repubblica
Il 14 luglio 1790, un anno dopo la presa della Bastiglia, sul Campo di Marte si celebrò la festa della Federazione. Il marchese La Fayette assistette alla cerimonia affianco al re ed alla regina. Fu un momento di unione nazionale: il re prestò giuramento alla Costituzione appena stabilita e fu applaudito dalla folla. Questo momento di comunione nazionale fece credere agli osservatori dell'epoca che il re avesse accettato i cambiamenti seguiti alla Rivoluzione del 1789, ma in realtà non era così. Luigi XVI si destreggiò tra le diverse correnti per tentare di conservare la sua autonomia e di riconquistare il potere che aveva perduto. Come sincero cattolico appoggiò il papa e i preti refrattari.
Il fallimento del tentativo di fuga a Varennes del re, avvenuto tra il 20 e il 21 giugno 1791, ebbe la conseguenza di svelare la sua ostilità al progetto del 1789. I patrioti parigini più radicali videro in questo gesto la prova del tradimento del re e chiesero, in una petizione che vollero depositare sull'altare del Campo di Marte, la decadenza del re. Alcuni deputati vietarono la manifestazione e decretarono la legge marziale, ma il 17 luglio 1791 il popolo manifestò malgrado tutto. La Fayette ordinò allora alla Guardia nazionale di sparare sulla folla disarmata, uccidendo principalmente delle donne e dei bambini. La sparatoria del Campo di Marte ebbe per conseguenza la rottura tra i patrioti moderati e il popolo parigino i cui portavoce furono, tra gli altri, Georges Jacques Danton, Maximilien de Robespierre e Jean-Paul Marat.

Il re perse tutta la stima di una parte dell'opinione pubblica e accettò controvoglia la costituzione del settembre 1791. Il re conservava unicamente il potere esecutivo ma poteva opporre il suo diritto di veto solo durante quattro anni (due legislature) alle leggi che non gradiva e controllare le scelte dei ministri. Il potere legislativo era affidato ad un'unica assemblea di 745 deputati eletti a suffragio censitario a due gradi, l'Assemblea legislativa. Su proposta di Robespierre, nessun costituente poteva presentarsi all'elezione della nuova assemblea che si riunì a partire dal 1° ottobre 1791. L'Assemblea legislativa fu quindi un'assemblea di uomini nuovi, inesperti, ricchi e piuttosto giovani, comprendente a destra 250 Foglianti che volevano difendere la monarchia costituzionale, alla sua sinistra 136 membri del club dei Giacobini, e soprattutto dei girondini.

I controrivoluzionari e i giacobini intanto, fecero pressione sui sovrani stranieri, affinché intervenissero, soprattutto i realisti che volevano il ritorno del re, e i foglianti. Per contenerli il re di Prussia e l'imperatore d'Austria fecero una dichiarazione comune, la dichiarazione di Pillnitz dell'agosto 1791, in cui manifestarono le loro inquietudini. Questa dichiarazione venne percepita dall'opinione rivoluzionaria come una minaccia.
L'Assemblea legislativa alla fine del 1791 votò diversi decreti al riguardo. Il 9 novembre 1791 ordinò che gli emigrati ritornassero in Francia entro due mesi, altrimenti le loro proprietà sarebbero state confiscate. Poi impose il giuramento civile ai preti refrattari sotto la pena della privazione della pensione o anche della deportazione in caso di turbamenti all'ordine pubblico. Un altro decreto ingiunse ai principi stranieri di cacciare gli emigrati dai loro Stati. Il re accettò di firmare l'ultimo decreto perché rendeva possibile la guerra.

il 20 aprile 1792 la Francia dichiarò la guerra al re di Ungheria e di Boemia, cioè il giovane imperatore Francesco II, appena succeduto al padre Leopoldo II. I girondini parlarono allora di una guerra dei popoli contro i re, di una crociata per la libertà. La Prussia si affiancò agli Austriaci qualche settimana più tardi.
L'armata francese, totalmente disorganizzata a causa dell'emigrazione di una parte degli ufficiali nobili, non aveva la capacità di resistere alle pericolose armate prussiane, perciò le frontiere furono rapidamente minacciate. Tra i patrioti si sviluppò l'idea di un complotto della nobiltà, della corte e dei preti refrattari per abbattere la Rivoluzione.

L'Assemblea votò allora tre decreti che permettevano la deportazione dei preti refrattari, lo scioglimento della guardia personale del re e la costituzione di un campo di guardie nazionali federate per difendere Parigi. Luigi XVI oppose il suo veto ai decreti sui refrattari e sui federali. Questa situazione provocò una nuova fiamma rivoluzionaria, che il 20 giugno vide il popolo attaccare il Palazzo delle Tuileries, dove risiedeva il re. Ma per una volta il re riuscì a resistere. Accettò l'umiliazione di portare il berretto frigio davanti ai sanculotti ma rifiutò di cedere. L'Assemblea legislativa aggirò il veto reale proclamando la patria in pericolo l'11 luglio 1792 e chiedendo a tutti i volontari di affluire verso Parigi.

Il 25 luglio, il comandante dell'armata prussiana, il duca di Brunswick, fece sapere al governo ed al popolo, con un proclama fatto affiggere sui muri di Parigi, che la città avrebbe patito serie conseguenze se la vita del re fosse stata nuovamente minacciata. Quando il proclama di Brunswick venne conosciuto dai rivoluzionari parigini, questi investirono l'Assemblea e chiesero la destituzione di Luigi XVI, ma l'Assemblea rifiutò. Nella notte tra il 9 ed il 10 agosto 1792 si formò una municipalità insurrezionale, condotta da Pétion e Danton. Al primo giorno, gli insorti si presentarono davanti le Tuileries e finirono per investire e prendere il palazzo, difeso dalla guardia svizzera, che si fece uccidere sulla piazza. Furono uccisi anche numerosi assedianti. Il re si rifugiò nella cinta dell'Assemblea legislativa, ma questa si volse contro di lui, sospendendolo dalle sue funzioni. Poiché di fatto la costituzione del 1791 era ormai superata, si procedette anche all'elezione di una Convenzione Nazionale, a suffragio universale a due gradi, per decidere delle nuove istituzioni del paese.
Le truppe nemiche marciarono su Parigi inesorabilmente, facendo cadere una dopo l'altra tutte le fortezze. A causa del panico e del rancore, il popolo ritenne responsabili della situazione i nemici interni. Tra il 2 ed il 6 settembre 1792 massacrò i preti refrattari, i sospetti di attività controrivoluzionarie ed i detenuti di diritto comune incarcerati nelle prigioni di Parigi. I massacri durarono diversi giorni senza che le autorità amministrative osassero intervenire ed i deputati non li condannarono per diversi mesi.

Le elezioni della Convenzione si svolsero nel mezzo dei massacri di settembre. Su 7 milioni di elettori, si stima che il 90% si siano astenuti. La scelta dei deputati venne fatta da una minoranza decisa. Come nel 1789, lo scrutinio a due turni ebbe per effetto l'eliminazione della classe popolare dalla rappresentanza nazionale. Gli eletti furono quasi tutti della borghesia. Un terzo venne dagli operatori nel settore della giustizia. Malgrado questa relativa omogeneità sociale, si opposero due campi antagonisti.
I girondini non si fidarono del popolo parigino. I loro appoggi furono in provincia e tra la ricca borghesia dei negozi e delle manifatture. Essi furono molto attaccati alle libertà individuali ed economiche del 1789 e ripugnavano di prendere delle misure eccezionali per salvare la giovane repubblica alla quale essi furono tuttavia attaccati. Furono diretti da Brissot, Vergniaud, Pétion e Rolland.
I montagnardi sedevano sui banchi più alti, da ciò il loro nome. Essi erano più sensibili alle difficoltà del popolo. Furono pronti ad allearsi al popolo, ai sanculotti del comune di Parigi e a prendere delle misure eccezionali per salvare la repubblica. I loro capi furono, tra gli altri, Robespierre, Danton, Marat, Saint-Just. Al centro sedeva una maggioranza di deputati, soprannominata la Pianura o la Palude che sosteneva a turno i due estremi.

Il 20 settembre, nella battaglia di Valmy, l'armata francese riportò una vittoria insperata contro i prussiani. I prussiani e gli austriaci si ritirarono dalla Francia, più preoccupati dagli affari polacchi. Il 6 novembre 1792 il generale Dumouriez riportò un'importante vittoria nella battaglia di Jemmapes. Le truppe francesi occuparono i Paesi Bassi austriaci. Ad Est, le armate del generale Custine occuparono la riva sinistra del Reno. Venne occupata anche il Ducato di Savoia, possesso della Casa Savoia. Ovunque i francesi propagarono i loro ideali rivoluzionari ma nello stesso tempo enunciarono l'idea che il Reno era la frontiera naturale del Nord e dell'Est della Francia.

L'ultimo atto dell'Assemblea Legislativa fu laicizzare lo stato civile. Il 20 settembre 1792 decise che i registri delle nascite e dei decessi da quel momento dovevano essere tenuti dai comuni. L'indomani la Convenzione si riunì per la prima volta. Essa dispose provvisoriamente dei poteri legislativo ed esecutivo. Decise di abolire la monarchia: il 22 settembre 1792 venne proclamata la Repubblica. La Convenzione era inizialmente dominata dai girondini. Essi sedettero al consiglio esecutivo e provarono ad evitare il processo del re temendo che questo potesse rianimare la controrivoluzione e rinforzare l'ostilità delle monarchie europee. Ma la scoperta dell'"armadio di ferro" alle Tuileries il 30 novembre 1792 rese il processo inevitabile. I documenti trovati in questa cassa segreta provavano senza possibili contestazioni il tradimento di Luigi XVI. Il processo iniziò il 10 dicembre. Alla fine dei dibattiti, il re fu riconosciuto colpevole con la schiacciante maggioranza di 693 voti contro 28. Fu condannato a morte con una maggioranza più ridotta, 366 voti contro 334. Il rinvio e l'appello al popolo, richiesti dai girondini, venne rifiutato. Il re Luigi XVI venne ghigliottinato il 21 gennaio 1793 nella piazza della Rivoluzione.

La sua esecuzione provocò delle reazioni mitigate nella popolazione francese. I sovrani europei reagirono formando la prima coalizione nel febbraio 1793. Allora il 24 febbraio i girondini decisero la leva di 300.000 uomini. L'annuncio di questa leva provocò dei sollevamenti rurali in Alsazia, in Bretagna e nel Massiccio Centrale, sollevamenti subito repressi con la forza. Inoltre la Convenzione votò una legge che realizzò una vera logica di terrore: tutti quelli che rifiutavano di prendere le armi venivano giustiziati in 24 ore senza processo.
A sud della Loira, la leva dei 300.000 permise un'alleanza dei contadini che disapprovavano la Rivoluzione, del clero refrattario e dei nobili. Nel marzo 1793 cominciò un'insurrezione in Vandea, chiamata dalla Convenzione "guerra della Vandea", che i montagnardi ed i sanculotti utilizzavano per stigmatizzare la debolezza dei girondini e reclamare delle misure eccezionali, che questi ultimi rifiutavano. Il 2 giugno 1793 i girondini vennero messi fuori legge dai montagnardi di Robespierre e sterminati. Per raggiungere il potere, i montagnardi si allearono con le fazioni più estremiste del popolo parigino. In provincia, invece, si produsse il movimento inverso: a Marsiglia e Lione i sostenitori dei girondini cacciarono i sindaci montagnardi dal potere.