Grazie all'autrice di questo post, Sara P.
-La guerra del Vietnam (parte seconda)
William Westmoreland |
In seguito alla caduta di Diem il nuovo leader sudvietnamita divenne il generale Duong Van Minh, il quale però si dimostrò incapace di dare stabilità al governo e di combattere i comunisti, e infatti pochi funzionari di Saigon si dimostrarono fiduciosi nei riguardi del nuovo regime. Il 29 gennaio 1964 il generale Nguyen Khanh guidò un colpo di stato contro il governo, provocando reazioni opposte sia nel Vietnam che negli Stati Uniti. Washington aveva comunque perso ogni illusione sui deboli tentativi di Duong Van Minh e sperava quindi che Khanh avrebbe portato avanti l'impegno bellico con maggiore energia . Nonostante le speranze riposte nel nuovo leader, i comunisti continuarono ad ottenere un progresso dietro l'altro.
Nel frattempo, anche negli Stati Uniti la situazione si fece abbastanza difficile in seguito all'assassinio del presidente Kennedy; il suo vicepresidente, Lyndon Johnson, divenne il nuovo presidente degli USA ed ereditò dal predecessore l'idea secondo cui l'impegno in Indocina consisteva in una delle battaglie della guerra fredda. Tra l'altro anch'egli credeva che un fallimento in Vietnam avrebbe causato al suo partito gravi ripercussioni politiche a vantaggio dei Repubblicani . Johnson ritenne allora necessario aumentare l'impegno americano per salvaguardare il regime di Saigon; gli esponenti del governo ritenevano che la vittoria finale sarebbe stata ottenuta grazie ad un attacco diretto contro il Vietnam del Nord. I bombardamenti sul Nord avrebbero fatto guadagnare un po' di tempo al Sud che avrebbe avuto la possibilità di rafforzarsi, e venne paventata l'ipotesi di spostare il conflitto direttamente nel Nord.
Tuttavia il presidente non era pronto ad autorizzare il bombardamento del Nord col probabile allargamento del conflitto che ne sarebbe derivato; aumentarono invece le operazioni segrete approvate nel 1964, come le operazioni punitive segrete ideate per fare pressione su Hanoi e denominate operazioni OPlan 34-A.
Johnson era contrario alle misure militari perché voleva aspettare la rielezione alle elezioni presidenziali del 1964, in virtù della quale sarebbe stato ufficialmente eletto e quindi avrebbe detenuto il potere necessario per poter prendere qualsiasi decisione in merito alla questione vietnamita. Il suo obiettivo primario consisteva quindi nel concentrarsi sulla campagna elettorale; i suoi consiglieri avevano stilato una risoluzione legislativa volta a perseguire un duplice scopo: concedendo a Johnson ampia libertà nel condurre la guerra in Indocina come meglio riteneva, egli avrebbe rafforzato la sua credibilità a livello internazionale e, cosa più importante, l'approvazione di questo progetto dalla maggioranza del Congresso avrebbe assicurato a Johnson l'appoggio dei due partiti e quindi avrebbe allontanato la minaccia della questione vietnamita dalla campagna elettorale.
Egli venne informato che la situazione nel Vietnam del Sud si stava sempre più deteriorando e gli Stati Uniti avrebbero dovuto allora rinsaldare il morale dei Vietnamiti confermando il proprio impegno fornendo equipaggiamento e addestramento. Un importante esempio di questa politica è fornito dal tenente colonnello John Paul Vann, comandante della 7a Divisione Fanteria del Delta del Mekong: egli si diede da fare per compensare la mancanza di addestramento introducendo un “corso di aggiornamento” per i regolari.
Nel frattempo anche Hanoi aveva elaborato i propri piani e considerava molto meno pericoloso il sostegno americano a un governo sudvietnamita piuttosto che un vero e proprio intervento militare. I rappresentanti ufficiali americani discussero allora l'utilità di incursioni aeree contro il Nord dopo essersi resi conto della potenza comunista. Le opzioni proposte a Johnson furono due: da una parte i consiglieri premevano per un'escalation militare senza poterne garantire la riuscita; il Congresso invece voleva vincere la guerra col minimo costo. Johnson era molto combattuto: egli voleva evitare una vittoria comunista, ma temeva che un'escalation dell'intervento americano avrebbe portato a reazioni violente in patria. Nonostante queste sue remore, aumentarono i piani per incrementare il sostegno al Sud anche se Hanoi si dimostrò favorevole ad intavolare negoziati, persino accettare una separazione definitiva tra Nord e Sud, purché gli Stati Uniti procedessero al ritiro. Dagli USA non giunse risposta.
Aumentarono invece gli attacchi di commando sudvietnamiti contro obiettivi costieri del Sud, e continuarono le operazioni di pattugliamento navale De Soto, introdotte nel 1962. Il 2 agosto 1964, mentre si trovava nel golfo del Tonchino, il cacciatorpediniere Maddox venne inseguito da tre vedette nordvietnamite che, secondo il commodoro Herrick, attaccarono la nave e poi virarono rapidamente . Il Maddox aprì il fuoco in risposta all'attacco; i nordvietnamiti reagirono lanciando i loro siluri che mancarono il bersaglio e le tre vedette virarono a quel punto verso il porto. Si concluse in questo modo il primo incidente del Tonchino.
L'avvenimento venne comunicato immediatamente a Washington e il presidente decise di inviare un altro cacciatorpediniere, il Turner Joy, nel golfo del Tonchino. Anche lo Stato maggiore reagì, mettendo in allerta le truppe da combattimento e inviando una seconda portaerei nella zona. Le operazioni dei commando sudvietnamiti ripresero e innervosirono Hanoi.
Il 4 agosto gli ecogoniometri del Maddox e del Turner Joy rivelarono la presenza in mare di siluri nemici e risposero al fuoco; poco dopo nessuno era più sicuro se ci fosse stato effettivamente qualcosa in mare. Il commodoro Herrick chiese subito al quartier generale una missione di ricognizione diurna. Venne comunque dato l'ordine di compiere azioni di rappresaglia contro obiettivi del Vietnam del Nord. Rimaneva tuttavia un piccolo dubbio sul reale verificarsi dell'incidente. Durante un ulteriore controllo, venne confermato l'ordine di procedere con le rappresaglie.
Al Congresso venne nel frattempo approvata una risoluzione che prevedeva il bombardamento del Nord nella convinzione che Hanoi avrebbe fermato il conflitto se questo fosse diventato troppo oneroso. Ma a Washington non si era tenuto conto della tenacia del Vietnam del Nord e della sua “voglia” di indipendenza.
A causa degli ultimi avvenimenti era venuto il momento di prendere in considerazione l'eventualità di aumentare le pressioni sul Nord, dove il governo di Hanoi aveva avuto la dimostrazione che Washington non sarebbe scesa a compromessi e che era invece determinata a creare uno stato anticomunista nel Sud, indipendentemente dalle mosse del Nord. L'atteggiamento finora abbastanza paziente degli Americani venne interrotto da un assalto dell'esercito rivoluzionario a una base militare americana a Pleiku, nel febbraio del 1965. Johnson ordinò come risposta un'immediata rappresaglia mediante incursioni aeree note col nome di Flaming Dart; tre giorni venne ordinata una seconda incursione in risposta ad un ulteriore attacco alle forze armate statunitensi di stanza a Qui Nhon.
Il presidente Johnson dovette alla fine accettare la conclusione che un intervento americano era la sola alternativa al crollo del Vietnam del Sud. Il governo approvò perciò l'operazione Rolling Thunder, ossia il bombardamento prolungato del Nord, ma il presidente lasciò sospesa la decisione di quando darvi inizio. Poco dopo l'approvazione dell'operazione, a Saigon avvenne un colpo di stato preparato da Taylor e dal generale Westmoreland per rovesciare Khanh e il suo governo, accusato di aver preso contatti con il FNL tra il 1964 e il 1965. Khanh lasciò il paese e il potere andò nelle mani di un triumvirato militare formato dai generali Ky, Thi e Thieu . Il 1° marzo il nuovo governo si impegnò a non trattare con il nemico e il giorno dopo l'aviazione americana cominciò a bombardare i primi obiettivi nel Nord.
Inoltre, nell'eventualità di un attacco da parte del Nord, l'8 marzo 1965 due battaglioni di marine approdarono a Da Nang. A metà aprile ne vennero inviati altri due e il mese seguente arrivarono le prime unità dell'esercito statunitense.
Per quanto riguarda la situazione interna agli Stati Uniti, il continuo invio di truppe dell'esercito in Vietnam e il sempre maggiore coinvolgimento nella guerra terrestre favorirono lo sviluppo di numerose proteste, di cui le più importanti furono sicuramente la marcia su Washington nel 1965 e i teach-in che si tennero nelle diverse università e che duravano per intere nottate. La risposta della Casa Bianca fu immediata; squadre di portavoce interdipartimentali sulla politica del Vietnam vennero mandate nei vari atenei.
In Vietnam intanto la situazione continuava a deteriorarsi nonostante il costante aumento delle truppe americane sul territorio. Si discuteva spesso anche di un'invasione del Nord, ma quest'ipotesi veniva costantemente respinta.
Il generale Westmoreland decise di attuare la strategia della “guerra di attrito”, in base alla quale per valutare i progressi compiuti si utilizzava il conteggio dei nemici uccisi e non l'ampiezza del territorio controllato ; inoltre, il generale decise di attuare azioni di guerra convenzionale contro la guerriglia. Egli ricorse sempre più spesso alle cosiddette operazioni search and destroy: i soldati americani passavano all'offensiva per localizzare, attaccare e distruggere le unità comuniste più numerose e i loro campi base. Spesso queste missioni erano supportate da incursioni aeree. Westmoreland all'inizio era convinto di poter porre fine all'insurrezione nell'arco di 18 mesi , anche se queste operazioni avevano successo solo temporaneamente.
Alla fine dell'estate Hanoi si era resa conto che l'incremento delle truppe americane e la riluttanza dei cinesi a promettere ulteriori aiuti significavano dover ritardare la prevista offensiva e insurrezione generale nel Sud: a questo punto entrambe le parti ritennero che la soluzione migliore fosse l'aumento dell'impegno militare.
Il Vietnam del Nord tenne testa all'escalation americana sia attraverso il reclutamento nel Sud sia mediante l'infiltrazione di personale e di attrezzature lungo il sentiero di Ho Chi Minh.
Alla fine di novembre del 1965 la situazione si faceva sempre più critica nonostante l'aumento del numero delle truppe americane inviate sul territorio. Saigon controllava il 25% della popolazione; dal punto di vista militare il tasso di diserzione nell'ARVN aumentava a dismisura ed erano aumentato il numero di reclutamenti dell'FNL a livello locale.
Restavano solo due opzioni al vaglio del governo americano: cercare una soluzione di compromesso oppure perseverare nella guerra e negli obiettivi. Naturalmente la scelta ricadde sulla seconda opzione, per cui l'ARVN può essere considerato come un supporto nel contesto di una guerra americana combattuta contro i nordvietnamiti e l'FNL.
Tra l'altro nel Sud l'opposizione interna era anch'essa consapevole che dipendeva tutto dagli Stai Uniti, e infatti i leader buddhisti erano convinti che la pace sarebbe stata possibile solo se gli Americani avessero ritirato il loro appoggio al governo Ky-Thieu, permettendo l'insediamento di un governo più aperto al negoziato e alle trattative con il FNL.
L'ambasciata americana tacciò i buddhisti di essere filocomunisti, ma essi erano diventati più bravi politicamente; a metà del '66 l'opposizione aveva assunto una certa importanza. Ky chiese a questo punto l'intervento americano per far fronte al Movimento di lotta che, a suo parere, era caduto in mani comuniste. Johnson non poteva tirarsi indietro e le forze di Ky, aiutate dai marines americani, bombardarono e mitragliarono il quartier generale del Movimento annientando i buddhisti e i loro sostenitori.
Quando la battaglia finiva i soldati americani tornavano alla base, mentre l'FNL recuperava le proprie posizioni, reclutando uomini tra le rovine. Per fra fronte a questo problema, tra il '66-'67, Westmoreland ideò una nuova strategia, che consisteva nella distruzione di qualsiasi cosa si trovasse nelle aree sotto il controllo del FNL senza bisogno di aspettare un attacco, e portandosi dietro la popolazione. Il conflitto si era trasformato ormai in una guerra americana.
Era difficile intravedere, in una situazione così precaria, una base per i negoziati sollecitati dagli alleati occidentali degli USA. Ho Chi Minh insisteva nell'affermare che Hanoi non avrebbe mai negoziato mentre continuavano i bombardamenti; gli Stati Uniti risposero da parte loro che i bombardamenti sarebbero terminati solo quando Hanoi avesse posto fine alla guerra nel Sud. La posizione americana non era tuttavia categorica: gli Americani erano favorevoli ad una diminuzione dei combattimenti da ambedue le parti. Per Hanoi, però, accettare questa condizione sarebbe equivalso ad accettare le premesse dell'intervento americano; per Washington ammettere che non c'erano basi per la reciprocità voleva dire identificarsi come invasore del Vietnam.
A settembre 1966 l'ambasciatore delle Nazioni Unite Goldberg assicurò che Washington era pronta a fare il primo passo verso la pace, e il 2 febbraio 1967, durante una conferenza stampa, il presidente disse che gli USA erano aperti a “trattative incondizionate” su ogni aspetto della guerra. Purtroppo però non era a conoscenza di eguali sforzi da parte degli avversari.
Hanoi prese sul serio le parole di Johnson, infatti iniziò una delicata serie di negoziati in cui le parti si impegnarono a concretizzare la questione della reciprocità . Hanoi avrebbe diminuito le infiltrazioni di soldati nel Sud e gli Stati Uniti avrebbero potuto ridurre l'invio di truppe.
Tuttavia, a settembre del '67 le operazioni search and destroy inflissero un forte numero di perdite ai nemici rendendo Washington convinta della sua vittoria militare e di conseguenza gli USA irrigidirono i termini: le trattative avrebbero avuto inizio solo dopo che Hanoi avesse posto fine alle infiltrazioni via mare e via terra in Vietnam del Sud.
Mentre terminava il breve cessate il fuoco di Capodanno, Ho Chi Minh rispose a Johnson dicendo che Hanoi si sarebbe seduta al tavolo delle trattative solo dopo la fine incondizionata dei bombardamenti sul Nord. A questo punto gli americani intensificarono la ferocia della guerra aerea.
Alla fine di gennaio 1968, l'esercito rivoluzionario e l'esercito nordvietnamita lanciarono un enorme attacco durante il capodanno lunare del Tet, la principale festività per i Vietnamiti; questo attacco è noto come offensiva del Tet.
L'obiettivo del FNL era quello di giungere al tavolo delle trattative con la situazione militare più favorevole e per questo si decise di seguire la tattica del “combattere mentre si negozia”. Gli strateghi di Hanoi progettavano infatti di attirare nelle campagne i soldati americani con azioni diversive contro avamposti remoti, nelle zone a Sud della zona smilitarizzata che divideva in due il Vietnam e lungo il confine occidentale del Vietnam del Sud: così le città sarebbero state più vulnerabili. Nel frattempo il Nord si apprestava a dare il via a nuovi tentativi di negoziato con gli Stati Uniti, nel corso dei quali l'esercito nordvietnamita, insieme a quello rivoluzionario, avrebbe sferrato attacchi simultanei contro le principali città del Sud. I comunisti speravano che queste azioni facessero innescare l'insurrezione popolare.
Nell'autunno del 1967 il progetto di Hanoi entrò in esecuzione; il culmine di questi attacchi diversivi si ebbe il 21 gennaio 1968, quando due divisioni dell'esercito nordvietnamita assediarono la base dei marines di Khe Sanh. Abboccando all'esca, alcuni leader americani pensarono che l'assalto rappresentasse un tentativo di Hanoi di arrivare ad un'altra Dien Bien Phu e il presidente Johnson ordinò che l'avamposto venisse difeso a tutti i costi.
Mentre l'attenzione degli Americani era concentrata su Khe Sanh veniva preparata la seconda fase dell'offensiva programmata per l'inizio del Tet. Di solito durante questa festività entrambe le parti rispettavano un cessate il fuoco, quindi Hanoi riteneva che i Sudvietnamiti avrebbero abbassato la guardia e sarebbero stati impreparati all'attacco . Poco dopo la mezzanotte del 30 gennaio, 84.000 soldati rivoluzionari e nordvietnamiti attaccarono un gran numero di agglomerati urbani nel Sud, mentre a Saigon 20 guerriglieri penetrarono all'interno dell'ambasciata americana e altri facevano irruzione nel palazzo presidenziale e nel quartier generale dello stato maggiore sudvietnamita.
L'offensiva del Tet colse tutti di sorpresa; i servizi segreti statunitensi erano precedentemente entrati in possesso di documenti che descrivevano il piano, ma i comandanti erano talmente convinti che il vero bersaglio fosse Khe Sanh da ritenere tali documenti una semplice manovra diversiva.
Nonostante avessero colto di sorpresa Americani e Sudvietnamiti, i reparti comunisti mancavano di coordinamento e alcuni attacchi prematuri lasciavano il tempo agli Americani di rinforzarsi.
La battaglia più dura si svolse a Hue il 31 gennaio: le forze comuniste si gettarono sulla città da tre direzioni, incontrando scarsa resistenza da parte delle divisioni governative della zona . I comunisti commisero enormi atrocità nella città, dandosi alla caccia all'uomo di casa in casa. Venne anche dato l'ordine di arrestare Americani e cittadini stranieri tranne i Francesi, forse perché il presidente De Gaulle aveva pubblicamente criticato la politica americana in Vietnam. I resoconti concordano nel dire che i responsabili delle esecuzioni furono le unità rivoluzionarie e non quelle nordvietnamite.
Il FNL a Hue si prefiggeva di smantellare l'amministrazione governativa della città e di stabilire al suo posto un'amministrazione rivoluzionaria.
Nonostante la ferocia dell'offensiva, il Tet non provocò il crollo del Vietnam del Sud e Hanoi scoprì che a Saigon non esisteva grande fervore rivoluzionario : infatti ottenne poco sostegno da parte della popolazione, mentre si aspettava il contrario.
In sostanza, l'offensiva del Tet si risolse in una sconfitta tattica per i comunisti, ma alla fine rappresentò per loro un'enorme vittoria politica.
Gli Stati Uniti e l'ARVN ripresero gran parte del territorio perso durante l'offensiva, ma gli USA avevano riconosciuto che esistevano dei limiti al loro impegno militare; in sostanza con l'offensiva del Tet il Vietnam del Nord aveva interrotto l'escalation americana .
Le troupe televisive avevano filmato le azioni dell'offensiva e le riprese furono mandate in onda poco dopo il termine delle azioni stesse. L'opinione pubblica americana fu sbalordita nel vedere i comunisti ancora capaci di tanto dato che da tempo i vertici politici e militari continuavano ad affermare che essi stavano perdendo terreno e si stava per arrivare alla fine del conflitto.
La stampa riportava le reazioni del pubblico americano al Tet e interpretava l'offensiva come un grave colpo psicologico inferto all'intervento americano . La realtà dell'offensiva si scontrava coi resoconti ottimistici degli ultimi mesi e il consenso di Johnson calò a picco.
L'offensiva del Tet confermò la strategia della guerra prolungata agli occhi del generale Giap, il quale si convinse che la vittoria per gli Americani era a questo punto impossibile. Tuttavia, dopo l'offensiva gli attacchi aerei americani furono intensificati al Sud, mentre al Nord la guerra aerea venne parzialmente ridotta.
Il generale Westmoreland e gli Stati Maggiori riuniti speravano di poter sfruttare l'offensiva del Tet per ottenere la mobilitazione delle riserve militari e l'ampliamento del fronte includendo il Vietnam del Nord, il Laos e la Cambogia.
Il presidente approvò l'invio di ulteriori rinforzi ma i suoi consiglieri civili presero in esame le eventuali implicazioni di un'ulteriore escalation e le possibili alternative: essi giunsero alla conclusione che la politica finora attuata non aveva portato a risultati positivi, che l'invio di nuove truppe avrebbe comportato costi troppo alti e che gli Americani avrebbero dovuto accettare un impegno troppo gravoso. I consiglieri raccomandarono quindi al presidente di passare dalle missioni search and destroy ad una strategia volta a garantire la sicurezza della popolazione, con un aumento simbolico delle truppe.