Collabora Translate Speciali
Scrivi anche tu il tuo pezzo e inviacelo. Si accettano anche in inglese, francese, spagnolo o tedesco. Per maggiori informazioni clicca qui. Don't you understand? Don't worry: you can translate the page with a click on the button "Traduci". You find it in the bar on the bottom of the window. In questa pagina tutti gli Speciali del sito. Raggruppa diversi post in un unico argomento comune.

Publio Cornelio Scipione l'Africano

Appartenente alla Gens Cornelia, una delle più antiche e potenti famiglie patrizie di Roma, era figlio di Publio Cornelio Scipione, che fu console nel 218 a.C. e che morì in Spagna assieme al fratello Gneo Cornelio Scipione Calvo durante la Seconda guerra punica. Sposò Emilia Terza, sorella di Lucio Emilio Paolo Macedonico, e fu il padre di un omonimo Publio Cornelio Scipione, di Lucio Cornelio Scipione e di Cornelia, la famosa "madre dei Gracchi". 

Le prime notizie della vita pubblica di Publio datano al 218 a.C. In quell'anno, a 17 anni, durante la battaglia del Ticino, primo vero scontro diretto di Roma contro Annibale, salvò la vita al padre, gravemente ferito. Il padre, comandante delle forze romane, ordinò che al figlio fosse conferita l’alta decorazione al valor militare della corona civica. Ma Scipione rifiutò dicendo che “quell’atto si ricompensava da sé”. La coraggiosa impresa fruttò comunque a Scipione la fama di valore.

Due anni dopo, nel 216 a.C. fu tra i superstiti della disastrosa battaglia di Canne. Gli storici antichi non dicono se Scipione partecipò alla battaglia. Da Livio sappiamo che ricopriva la carica di tribuno militare, corrispondente a quella odierna di ufficiale dello Stato maggiore. Come tale, dopo la disfatta di Canne si adopera per porre in salvo i pochi e sbandati superstiti delle legioni romane, guidandoli verso Canosa dove ci fu un inizio di riorganizzazione dell'esercito. Si tratta di un’impresa molto pericolosa, distando la città solo quattro miglia dal campo di Annibale. In questo frangente frena il desiderio di fuga di numerosi patrizi che volevano fuggire in esilio minacciandoli di fermarli anche col gladio.
Per contro si fa raccontare dai superstiti le fasi della battaglia, evidentemente studiando l'insolita tattica dell'avversario. Nel 213 a.C. riveste la carica di edile curule, in genere il secondo passo (dopo la carica di questore) nel cursus honorum, la scalata alle cariche civili che avevano come tetto il consolato. I tribuni della plebe si opponevano alla sua nomina accampando la non raggiunta età legale. Publio risponde che se i Quiriti lo volevano edile per lui era sufficiente.

In Spagna

Nell'anno 211 a.C. il vero ingresso nella parte elevata della struttura sociale romana, a soli 24 anni, da semplice privato e - ancora una volta - al di sotto dell'età minima legale per poter entrare in carica, Publio Cornelio si fa inviare - con Caio Claudio Nerone al comando della flotta e con 11.000 uomini - come proconsole in Spagna, dove la situazione per i Romani era molto precaria: il padre e lo zio di Scipione, Publio il Vecchio e Cneo, comandanti delle forze romane nella penisola iberica, sconfitti e uccisi in battaglia, i Romani ricacciati oltre il fiume Ebro dalle forze cartaginesi - che mantenevano il controllo della regione dai tempi di Amilcare Barca, padre di Annibale - e abbandonati dalla maggior parte delle tribù iberiche. Una situazione così tragica che quando si riunirono i comizi per eleggere un proconsole da inviare in Spagna Scipione fu l’unico a presentarsi come candidato.

Publio Cornelio inaugurò una nuovo modo di trattare le truppe, di trattare con le popolazioni iberiche, a volte potenziali alleate, di combattere. La strategia complessiva venne cambiata verso la ricerca di una situazione di attacco continuo, che si mostrava ben diversa dai metodi "combatti e attendi" precedentemente adottati. Anche il lato psicologico venne studiato da Scipione. Fino a far credere ai legionari di essere figlio di déi e da questi protetto. Con questi accorgimenti e con una serie di brillanti operazioni belliche e diplomatiche, Scipione riuscì a rovesciare alcune alleanze fra iberici e cartaginesi rendendo difficile il reclutamento di forze contro Roma e contestualmente sferrò attacchi, in genere coronati da successo, contro colonie cartaginesi e città loro alleate; restrinse sempre più il controllo cartaginese nella penisola iberica, costrinse i cartaginesi su posizioni costantemente difensive impedendo loro di sfruttare le risorse economiche del territorio che avevano conquistato e di inviare aiuti di uomini e mezzi ad Annibale. Questi nel frattempo, doveva fronteggiare la strategia attendistica propugnata da Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, non riusciva più a colpire a fondo Roma e i suoi alleati e anzi, veniva costretto a piccole battaglie per cercare di controllare un territorio sempre più ostile.

Publio Cornelio iniziò la sua campagna spagnola scegliendo come obiettivo Cartagena, una delle basi cartaginesi più importanti in Spagna. Base operativa, deposito bellico e nodo di comunicazione con Cartagine, Cartagena era difesa soltanto da una piccola guarnigione perché i cartaginesi, dominatori di quasi tutti la penisola iberica, ritenevano che nessun avversario avrebbe mai osato tentare di impadronirsi di tale città. All’epoca Cartagena, protetta su due lati dal mare e sul terzo da una laguna, era considerata imprendibile. Tuttavia Scipione, sfruttando la bassa marea della laguna, da lui spacciata agli occhi dei soldati per una volontà divina a suo favore, riuscì a scalare le mura della città senza opposizione e impadronirsi di essa senza necessità di assedio. La conquista di Cartagena è ricordata anche per la grande umanità con la quale Scipione trattò gli ostaggi. Con la definitiva battaglia di Ilipa Scipione distrusse due armate cartaginesi e infine, conquistata l'ultima ridotta cartaginese di Cadice, ottenne l'alleanza della città (206 a.C.). Fu la definitiva eliminazione del pericolo cartaginese in Spagna. Roma poté chiudere il "fronte occidentale" mantenendo solo le necessarie forze di presidio. Nel successivo 205 a.C. Roma sottoscrive la pace di Fenice con Filippo V di Macedonia e chiude il fronte orientale. Publio Cornelio viene eletto console. Subito propone di portare la guerra in Africa ma il Senato di Roma, sotto la pressione dei Fabii, vuole prima sconfiggere Annibale e rifiuta di supportare Scipione che in Sicilia ha a sua disposizione solo le legioni "cannensi" e poche navi.
(Le legioni "cannensi" sono i resti delle forze sbaragliate a Canne da Annibale. Però mentre Varrone, il maggiore responsabile della disfatta, tornato a Roma era stato perdonato, la bassa forza, come punizione era stata mandata in Sicilia col divieto di tornare a Roma fino a quando Annibale fosse rimasto in Italia)
In Africa

Nel 204 a.C. Publio Cornelio decade da console ma viene nominato proconsole e può portare avanti il suo progetto. Parte per l'Africa e a causa della nebbia sbarca nei pressi di Utica scompaginando i piani dei cartaginesi, superiori per forza (60.000 uomini contro i 35.000 di Publio), che lo aspettavano a Emporia. Viene raggiunto da Massinissa, giovane principe numida, con cui aveva accortamente negoziato in Spagna, e dalla sua cavalleria. Legato alla causa cartaginese invece è l'altro principe numida Siface, che aveva sposato la bella figlia di Asdrubale Sofonisba. Dopo un vittorioso scontro contro un contingente di cavalleria, Scipione può dedicarsi al saccheggio del territorio e inviare a Roma ricchezze e schiavi rinforzando la sua posizione politica e operativa. Cerca di conquistare Utica ma non riesce nell'intento e decide di accamparsi per l'inverno facendo erigere i "Castra Cornelia" gli accampamenti fortificati dove passerà l'inverno con tutto il suo esercito.

Durante l'inverno Scipione, considerata l’enorme superiorità numerica degli avversari, elabora un piano per indebolire il nemico. Siface e Asdrubale si erano accampati su due alture adiacenti. Informato che i quartieri d’inverno dei nemici erano costituiti da ripari in legno e giunco addossati gli uni con gli altri, Scipione pensa di incendiare il campo nemico e approfittare della confusione che ne sarebbe seguita per sferrare un attacco a sorpresa. Con la scusa di cercare un accordo per evitare una guerra, manda una serie di ambascerie, facendo mescolare tra gli ambasciatori esploratori e centurioni che approfittano dei colloqui per raccogliere dettagliate informazioni topografiche utili per l’attacco. Poi in primavera sentendosi pronto, interrompe i negoziati e fa salpare le sue navi in direzione Utica, come se avesse intenzione di assalire la città dal mare. Ma nottetempo si porta presso i quartieri d’inverno di Siface e, dopo aver bloccato ogni via di fuga, appicca l’incendio che, come previsto, si estende in breve tempo all’intero accampamento. Non appena i cartaginesi dell’accampamento di Asdrubale, credendo accidentale l’incendio, si precipitano fuori in aiuto, vengono annientati. 
Scipione approfitta della vittoria per occupare varie città di importanza strategica, tra cui Tunisi, a soli ventiquattro chilometri da Cartagine, da dove può controllare le comunicazioni via terra del nemico. Nel frattempo invia Lelio e Massinissa all’inseguimento di Siface, il quale raccolte nuove forze marcia contro di loro ma viene sconfitto presso Cirta e fatto prigioniero mentre la moglie Sofonisba si avvelena. Scipione conferisce il titolo di re della Numidia a Massinissa e gli concede grandi onori. Cartagine alle corde intavola trattative di pace. Le condizioni fissate da Scipione, che non mirava alla distruzione della città, sono severe: restituzione dei prigionieri, il ritiro degli eserciti cartaginesi dall’Italia, la rinuncia alla Spagna, la consegna delle navi da guerra ma i cartaginesi accettano e si conclude perciò l'armistizio (inverno 203-202).La guerra sembrava alla fine ma in realtà i cartaginesi approfittano della tregua per richiamare in patria Annibale e Magone. Magone, ferito durante una battaglia di scarsa importanza, muore durante il viaggio.

In Africa la tregua dura poco. Una tempesta aveva sospinto sulla costa di Cartagine duecento navi onerarie romane salpate dalla Sicilia con rinforzi e rifornimenti per Scipione e i Cartaginesi si impossessano delle navi e del loro carico. Scipione manda ambasciatori a protestare per l’accaduto ma i cartaginesi – contando sull’imminente a arrivo di Annibale - li licenziano senza risposta e tendono loro un agguato sulla via del ritorno. Come risposta Scipione devasta la valle del fiume Bagrada per isolare Cartagine dalla sua base di rifornimento. Sbarcato con ventiquattromila uomini a Leptis Minor (l’odierna Lamta), in quello che oggi è il golfo di Hammamet, Annibale ottiene l’aiuto di Ticheo, parente di Siface, che gli invia un corpo di duemila cavalieri. Annibale inoltre può contare sui dodicimila uomini di Magone, tutti soldati ben addestrati, sui nuovi reclutamenti in Africa, su quattromila macedoni inviati da re Filippo.


La devastazione della valle del Bagrada - importante fonte di rifornimento di Cartagine - da parte di Scipione, costringe Annibale ad andargli incontro e ad allontanarsi quindi dalla sua base militare cioè Cartagine. A Zama Annibale invia esploratori per scoprire le misure difensive dell’accampamento romano. Ma tre spie vengono catturate. Portate davanti a Scipione questi non solo non li punisce ma al contrario li affida a un tribuno militare con l'ordine di mostrar loro apertamente tutto ciò che c’era nel campo. Ciò fatto li interroga per sapere se la persona da lui incaricata aveva fatto loro vedere tutto accuratamente e a loro risposta affermativa li congeda, invitandoli a riferire esattamente ad Annibale quello che era loro capitato.
Questo insolito comportamento di Scipione era calcolato: serviva per dimostrare a Annibale e ai cartaginesi la completa fiducia dei romani nei propri mezzi e ad insinuare dubbi fra le loro file. Rientrati gli esploratori dalla loro missione e riferito quanto accaduto, Annibale chiede un incontro con Scipione per discutere con lui l’intera situazione. Scipione accetta e sceglie come luogo dell’incontro una pianura non lontana dalla città di Naraggara. In tal modo si assicura la battaglia su un terreno pianeggiante, l’ideale per sfruttare al massimo il vantaggio che gli derivava dalla superiorità della sua cavalleria.

Il giorno dell’incontro Annibale fa al generale romano una proposta di pace: Sicilia, Sardegna e Spagna definitivamente ai romani e le ambizioni di Cartagine limitate all’Africa. Ma Scipione non accetta queste proposte facendo notare ad Annibale come egli offrisse territori già da lungo tempo in mano dei romani. Terminato senza esito l’incontro l’indomani i due generali si danno battaglia.
Secondo alcune ricostruzioni la battaglia di Zama ricalca, in risultato invertito, la battaglia di Canne, segno che lo studio della tattica di Annibale, fatto da Scipione dopo quella sconfitta, era stato sommamente utile al giovane condottiero romano.

Scipione sfrutta immediatamente gli effetti psicologici della vittoria ordinando a Cneo Ottavio di portarsi con le legioni per via di terra presso Cartagine. Contemporaneamente egli muove con la flotta verso il porto della città. Cartagine capitola immediatamente, senza bisogno di assedio e di spargimenti di sangue. Le condizioni di pace proposte da Scipione sono moderate: ai cartaginesi non viene imposta nessuna guarnigione e anzi Cartagine avrebbe riavuto indietro tutti i possedimenti africani suoi prima della guerra. Avrebbe però dovuto restituire le navi onerarie romane di cui si era impossessata in violazione della tregua nonché tutti i prigionieri. Inoltre avrebbe dovuto consegnare tutte le navi da guerra e tutti gli elefanti; non avrebbe dovuto far guerra a nessuno fuori dall’Africa e a nessuna nazione africana senza aver prima consultato Roma. Doveva pagare un’indennità di diecimila talenti d’argento suddivisi in rate annuali per cinquant’anni e doveva dare in ostaggio cento giovani scelti da Scipione.

Contro la Siria

Scipione diventa censore nel 199 a.C., princeps senatus, e ancora console nel 194 a.C. Scipione viene eletto console insieme a Tiberio Sempronio Longo. Per una singolare coincidenza i loro padri erano stati consoli insieme durante la seconda guerra punica. Quell’anno il senato decise che, non esistendo pericoli imminenti al di fuori dei confini,entrambi i consoli dovessero restare in Italia. Scipione si oppone con forza a questa decisione, dichiarando che “incombeva una grossa guerra contro Antioco” di Siria, presso il quale Annibale si era da poco trasferito. Ma il senato non gli dà retta e anzi decreta il ritorno in patria dell’esercito romano in Macedonia. Gli avvenimenti successivi avrebbero ancora una volta confermato la preveggenza di Scipione.
Alla scadenza del consolato Scipione si ritira a vita privata, cosa insolita per quei tempi in cui gli ex-consoli optavano per una provincia straniera.
Antioco III di Siria intanto, dopo aver vinto l’intera Asia Minore ed essersi spinto fino in Tracia, ora guardava alla Grecia dove era chiamato dagli Etoli, nemici dei romani. Annibale gli aveva proposto una spedizione contro l’Italia, unica soluzione a parere del cartaginese per sconfiggere Roma. Secondo il piano di Annibale, egli con truppe fornite da Antioco sarebbe sbarcato in Africa per sollevare i cartaginesi. Nel contempo Antioco si sarebbe dovuto spostare in Grecia pronto a balzare in Italia al momento più opportuno. Antioco occupa Efeso ma perde tempo impelagandosi in una campagna locale contro i Pisidi. Roma, esausta da anni di lotta, tenta di risolvere la questione diplomaticamente inviando a Efeso un’ambasceria, della quale fa parte anche Scipione Africano. Ad Efeso gli ambasciatori romani hanno colloqui con Annibale, presente casualmente in città. Non avendo ottenuto alcun risultato concreto da Antioco sul piano diplomatico, Roma si prepara alla guerra.
Mentre Roma si prepara per la guerra, Antioco attacca la Grecia e potrbbe conquistarla se non fosse che non sa approfittare del vantaggio temporale sui romani e anzi abbandona anche il piano di Annibale sulla spedizione in Africa perché temeva che se Annibale avesse ricevuto un ruolo operativo l’opinione pubblica lo avrebbe considerato come il vero comandante.

L’esercito romano guidato dal console Acilio ha tutto il tempo di completare i preparativi e di sbarcare in Grecia. Sconfitto alle Termopili, Antioco riattraversa l’Egeo. Con un colpo solo i romani avevano scacciato dalla Grecia il loro temuto avversario. Compresa la necessità di sottomettere Antioco per evitare di ritrovarselo ai propri confini orientali come continua minaccia, Roma si prepara a un’invasione. Vengono eletti consoli Lucio, fratello di Scipione, e Caio Lelio, il vecchio aiutante di Scipione. Entrambi i consoli desiderano la Grecia e la decisione a chi dei due assegnarla viene rimessa al senato. Poiché in Senato il dibattito si preannuncia assai lungo, Scipione interviene dicendo che se la Grecia fosse stata assegnata al fratello Lucio Scipione, egli sarebbe andato con lui come legato. La proposta di Scipione viene approvata immediatamente e unanimamente. Il gesto di Scipione è illuminante sulla sua nobiltà: il più grande generale della storia romana si abbassava ad accettare una carica subordinata: gli bastava salvare il proprio paese lasciando a un altro gli onori del trionfo. La spedizione romana parte nel marzo del 190 a.C. e in poco tempo riesce, grazie ad alcune viittorie navali, ad arrivare in Asia.

Antioco invia un legato all’accampamento romano per tentare di risolvere il conflitto pacificamente. Le proposte di pace di Antioco: rinuncia alle città greche dell’Asia minore alleate di Roma e pagamento ai romani della metà delle spese di guerra. Antioco punta sul fatto di avere come suo prigioniero un figlio di Scipione. Non si sa come fosse stato catturato il figlio di Scipione, se durante una ricognizione a cavallo o sul mare. Comunque di fronte al netto rifiuto dell’assemblea di guerra romana alle proposte di Antioco, l’ambasciatore, seguendo gli ordini ricevuti, chiede un colloquio privato con Scipione. All’Africano propone la restituzione senza riscatto di suo figlio, in più gli promette una grande somma di denaro e la compartecipazione al regno se per mezzo suo si fosse potuta ottenere la pace. Scipione rifiuta seccamente le ultime due proposte e, quanto alla restituzione del figlio, dice che, se Antioco lo avrebbe fatto, trattandosi di un beneficio privato avrebbe dovuto accontentarsi di una gratitudine privata: a titolo pubblico egli non avrebbe accettato mai nulla da lui né gli avrebbe dato nulla. Nonostante ciò, questo episodio sarà sfruttato propagandisticamente dagli avversari politici di Scipione a Roma a guerra finita.

La guerra prosegue ma Scipione si ammala e viene portato a Elea, sulla costa. Appresa la notizia, Antioco gli riconsegna il figlio prigioniero. Scipione consiglia alla delegazione di Antioco di non scendere in battaglia fino a quando egli non fosse ritornato al campo. Con tale consiglio, egli sottintendeva che se fosse stato lui al comando delle operazioni, Antioco in caso di sconfitta avrebbe avuta salva la vita. Tuttavia Antioco, contando su un esercito grande più del doppio di quello romano, attacca battaglia presso Magnesia (oggi Manisa). Viene sconfitto ma la mancanza di Scipione si fa sentire: infatti solo grande alla risolutezza del tribuno che comandava le truppe romane sul fianco sinistro, queste non furono messe in rotta dalla cavalleria di Antioco. Antioco riesce a fuggire, rifugiandosi prima a Sardi,poi ad Apamea. Le condizioni di pace fissate dai romani furono: Antioco doveva ritirarsi oltre la catena del Tauro, pagare le spese di guerra e consegnare Annibale. Questi, appena conosciuta tale clausola, scappa a Creta. Considerata la situazione disperata di Antioco si trattava di condizioni di pace moderate e clementi. Attraverso di esse, come già aveva fatto in Africa, Scipione mira ad assicurare il predominio e l’influenza romana in maniera pacifica, non attraverso annessioni. I romani così avevano conquistato l'Asia Minore, come la Grecia, in un solo colpo.

La vittoria porta a Roma un immenso bottino e il dominio dell'Egeo. Publio Cornelio non ne trasse vantaggi. Tuttavia al rientro a Roma dei due fratelli viene scatenata contro di loro una campagna denigratoria con accuse di corruzione, soprattutto verso il fratello Lucio, da parte dei loro avversari politici, delusi dalla mitezza delle condizioni di pace di Magnesia e fortemente allarmati dalla loro potenza, ricchezza e influenza sulla popolazione. I due Scipioni vengono accusati di essersi appropriati di somme enormi ricevute da Antioco III senza fornire rendiconti all'Erario della Repubblica. Dopo aver platealmente stracciato i rendiconti asserendo che la sua parola aveva lo stesso valore, Publio Cornelio si ritirò nella sua villa a Liternum, in Campania.  Nel 183 a.C., di salute cagionevole, Publio Cornelio Scipione Africano muore, cinquantenne, a Liternum.